mercoledì 30 settembre 2015

U.S.S. Voyager NCC-74656 - Parte 2

30 settembre 0 Comments


DIARIO DEL CAPITANO
DATA ASTRALE -2207254.794520548


Ricordate questo vecchio post dove vi parlo di uno dei miei sfavillanti hobby? Beh, la mia USS Voyager, prosegue tutt'ora, anche se a ritmi lenti.

Dopo aver steso una mano di Grigio 127 come base su tutto il modellino e aver atteso almeno 24 ore che si asciugasse, ho iniziato a colorarla con la dovuta attenzione ai dettagli. Per il momento ho usato circa cinque pennelli diversi, sia come punta che come dimensioni. Sono andata da una dimensione 0 per i dettagli più piccoli, come ad esempio gli interni dei deflettori e i blocchi sensori sul muso e sui fianchi, fino a una dimensione 3 per i pannelli sulla coda o alcuni dettagli della fusoliera sul ventre. I boccaporti delle capsule di salvataggio, li ho rifiniti con un pennello piccolo a punta tonda. Per questi boccaporti, Revell ha previsto delle decalcomanie da applicare alla fine di tutto il lavoro, ma ho preferito comunque anche dipingerli.

Ricapitolo un pochino cosa ho fatto fino ad ora.
I colori da me usati sono tutti a smalto della Humbrol e i codici sono:

Trasparente lucido 35 - Trasparente satinato 135 - Argento Metallizzato 11 - Grigio 126 - Grigio 127 - Grigio 128 - Grigio 27 - Cuoio 62 - Rosso Mattone 70 - Rosso 60 - Grigio Scuro 32 - Bianco 130 - Beige 148 - Giallo 24

Dopo un periodo di stasi dovuto a problemi personali, da qualche giorno ho ripreso il lavoro alacremente. Ho avuto anche problemi di illuminazione e ho dovuto cercare una lampada adatta che non costasse una fortuna. Alla fine ho ripiegato sulla Tertial di Ikea (avete presente la simpatica lampada del logo animato Pixar?), visto che il loro modello Global (stretta e lunga, ottima per il modellismo) non viene più prodotto. Devo dire che la resa è perfetta e se affiancata a una seconda lampada più piccola, si riescono ad eliminare anche le ombre. Il tutto per una cifra onestissima. La spesa più alta l'ho fatta per la corretta lampadina a luce fredda.

Sono stata molto dubbiosa rispetto alle decals microscopiche difficili da incollare e quasi superflue. C’è chi, costruendo questo modello, non le ha usate e chi invece sì. Al momento, le decals relative alle sagome delle persone dietro i finestrini, ho preferito evitarle, anche perché a meno di non mettere una fonte d’illuminazione interna (cosa che alla fine ho deciso di non fare) sono del tutto inutili. Una volta terminata l’applicazione dello stucco e la colorazione finale, applicherò solo quelle sullo scafo.



Considerando che non ho lavorato con i colori proposti dalla Revell, ma con gli Humbrol, ad un certo punto ho personalizzato il modello seguendo un gusto puramente personale.

I dettagli minuscoli, come ad esempio i led o i circuiti dei blocchi sensori sulla parte superiore e laterale dello scafo li ho dipinti “a sentimento”.

Non ho lavorato soltanto a pennello, ma anche con quattro pennarelli indelebili, due Stabilo (verde e nero), uno Sharpie (azzurro per le gondole di curvatura), e un Pilot argento metallizzato. Inoltre ho deciso di osare dipingendo qualche piccolissimo dettaglio di un verde “Borg” fluorescente bellissimo, che reagisce alla luce ultravioletta. 
L'A.C. Ryan Blackmagic 2.

L’ultimo tocco, prima delle decals, sarà un leggero invecchiamento di alcune parti dello scafo, che farò con della grafite data a polpastrello e pennello.

Lavorando sulla Voyager ho scoperto che non esiste un numero preciso e ufficiale di banchi Phaser, perché evidentemente dipende dal modello usato nella serie TV, che non sempre era lo stesso. Secondo alcuni, i banchi vanno addirittura da 7 (così riporta anche Wikipedia) a 15.




Nel mio modello in particolare, ne ho contati 13.

4 sulla parte superiore dello scafo (il cosiddetto “ferro da stiro” per gli amici), 4 identici e speculari nella parte inferiore, 1 sullo scafo ventrale e 4 accanto all’hangar navette, due sopra e due sotto. Il colore che ho usato per simulare il Phaser è una sorta di arancio-rame che ho creato io stessa unendo una punta di rosso 60 a un po’ di beige 148 e infine, una volta pronto, ho passato un glitter dando una leggera sfumatura solo in certi punti, per simulare il brillamento dell’energia “in canna”. Ridete pure se volete (o gridate al sacrilegio), ma in certe microscopiche zone, ho usato lo smalto per unghie. Perfetto per dare risalto a certi dettagli che hanno bisogno di luccicare. Ho usato un rosso e un argento, entrambi glitter della Kiko.

Riguardo alla colla, per i “vetri” dei finestrini, delle gondole di curvatura, dei pezzi molto piccoli tipo i banchi dei sensori e dei due deflettori, ho usato quella da modellismo della Revell col beccuccio di precisione, mentre per incollare i pezzi grandi come le due parti del ventre o dello scafo, ho usato sia la suddetta Revell che la colla in tubo della Humbrol (devo dire molto poca).

E’ stata necessaria una lima, per eliminare le sbavature della stampa così da far aderire meglio le parti, parecchia colla Revell, una mano ferma e molta, molta, moltissima pazienza nel tenere fermissimi i pezzi in attesa che la colla facesse effetto. Devo dire che, per essere il primo esperimento serio di modellismo, sono abbastanza soddisfatta del lavoro svolto fino a qui. Ai principianti consigliano di partire con modellini di Skill Level 1, ma la Voyager è un Level 3.

Le cose che al momento mi mettono più ansia sono le decalcomanie. Ce ne sono di microscopiche, ma anche quelle più grandi come il nome della nave da incollare sulla parte superiore dello scafo, mi spaventa non poco. Sono delicatissime e romperle o metterle storte è questione di un attimo.




Una cosa certamente l'ho capita: colorare prima il modello e montarlo successivamente, non fa per me. Questa è la prima e ultima volta che uso questa tecnica che a molti, invece, piace. Personalmente l'ho trovata scomoda e il rischio che la vernice coli sulle giunture, creando fastidiose montagnette di colore in punti fondamentali come i piccoli (e rari) perni che chiudono il modellino, è molto alto. Se avessi colorato il modello solo dopo la fase di montaggio, mi sarei risparmiata lo stucco che, in questo particolare modello Revell, non serve perché i pezzi sono pressoché perfetti. Beh, sbagliando si impara!

A proposito di lezioni che si imparano sbagliando, vi dono un consiglio: se avete a che fare con modellini di plastica, prestare molta, ma molta, ma davvero molta, moltissima attenzione al cianoacrilato. E' la colla sbagliata.
Ci rileggiamo al prossimo post dedicato alla USS Voyager, quando il mio modello sarà completamente finito, con ritocchi, decals e lucido finale.

Lunga vita e prosperità!

Computer, fine della registrazione.

giovedì 24 settembre 2015

127.0.0.San Francisco de Campeche, Campeche - Messico

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San Francisco de Campeche, Campeche, Stati Uniti Messicani
20 Aprile 2007

Un nuovo post, un nuovo Stato.

Abbiamo abbandonato il bellissimo Chiapas per passare la frontiera e giungere nello Stato della Confederazione Messicana di Campeche, nella sua omonima capitale sul mare, che dista circa 300 chilometri da Palenque. Stiamo macinando davvero centinaia e centinaia di chilometri da molti giorni e alla fine di questo viaggio intendo fare un resoconto in numeri di tutti i luoghi visitati, delle ore di viaggio spese sulle strade, dei chilometri percorsi su ruote o in volo e degli hotel dove ci siamo riposati.


Lo Stato di Campeche è bagnato a nord dalla baia di Campeche e confina con gli Stati messicani dello Yucatán e Quintana Roo, con il Belize, con il Guatemala e con lo Stato messicano di Tabasco e il Golfo del Messico.

In principio San Francisco de Campeche era un piccolo villaggio Maya chiamato Ah Kim Pech, successivamente divenne un porto commerciale e poi ancora città spagnola dal 1517. Del periodo coloniale rimangono, dritti e fieri, sette bastioni lungo l'Avenida Circuito Baluartes, muraglia innalzata con lo scopo di difendere la colonia dalle incursioni dei pirati. Il più monumentale dei bastioni è il Baluarte de la Soledad, al cui interno è stato allestito il Museo de Estelas Maya, con stele e svariati altri reperti di grande interesse storico e archeologico. Campeche è famosa per essere una delle pochissime città fortificate di tutta l'America e come molte altre, invece, è Patrimonio dell'Unesco.

Foto: Wikipedia
Qui si respira una particolarissima atmosfera dal sapore coloniale che si percepisce nettamente anche passeggiando tra le vecchie mura della città, dove case patrizie si alternano a chiese austere. Fra le vie della cittadina passa anche un grazioso trenino d'epoca chiamato El Guapo, che permette ai turisti di vedere vicoletti e stradine particolarmente nascosti del centro, il viale del lungo mare e la muraglia difensiva con i suoi sette bastioni.

 Plaza de la Indipendencia Foto: Wikipedia

Le porte d'accesso al centro storico sono due, una via terra e una via mare. Nei dintorni della porta di terra, in un grande spiazzo erboso accanto alle mura (che mi ha ricordato vagamente la nostra bellissima Lucca), vengono spesso allestiti spettacoli folkloristici che raccontano la storia di questa zona del Messico, mentre nei dintorni di quella di mare, la nave pirata El Lorencillo imbarca passeggeri per un giro panoramico della costa, con tanto di pranzo a bordo e spettacolo piratesco!

Foto: Wikipedia
Campeche è stata la sede dell'antica cultura Maya e non a caso il suo soprannome è "Tesoro nascosto del Messico". Devo dire che non ha minimamente tradito le mie aspettative. E' molto, molto caratteristica e pittoresca; il mare cristallino che la bagna è splendido, per non parlare del golfo del Messico: straordinario.

Le spiagge più famose di Campeche sono Isla Aguada, Chenkán, Bahamitas e Playa Bonita. Veri e propri paradisi naturali fatti d'immense distese di sabbia bianca, mare turchese con alle spalle una fitta vegetazione di altissime palme da cocco smosse dal vento che nulla hanno da inviare alle spiagge più famose della costa est, sotto Cancun.

Playa Bahamitas Foto: http://www.turimexico.com


A Campeche c'è l'imbarazzo della scelta rispetto a cosa fare o vedere. Le possibilità sono infinite: dalle immersioni alla ricerca di tartarughe marine alle escursioni presso siti archeologici Maya, dallo shopping nei mercati caratteristici della città alle dormitine sulle amache nel pieno relax della Playa Bonita. Si può girare per musei assaporando la storia del fascino Maya o per ristorantini tipici gustando ottimi piatti della cucina tradizionale messicana sia di terra che di mare, si possono fare gite in barca sul Golfo del Messico o nella Baia e lunghe sieste con in mano una Cerveza, seduti nella Plaza de la Independencia osservando le persone passare. A Campeche, insomma, non ci si annoia mai.


Fonte: Wikipedia
Mi è piaciuta tantissimo l'illuminazione serale del centro città e dei suoi monumenti, in particolar modo della stupenda Plaza de la Indipendencia e della Catedral. Ho adorato passeggiare per le sue strade coloratissime ascoltando la musica latina uscire forte da negozi e finestre. 
Abbiamo cenato in un tipico ristorantino e mangiato divinamente in uno splendido chiostro di un antico palazzo. 
Ho amato la simpatia dei suoi abitanti e l'allegria che riversavano nelle strade. 
Campeche è una città molto viva, la gente si diverte nei locali e balla moltissimo. Abbiamo assistito a uno spettacolo di danza folkloristica messo in piedi da quattro coppie di bambini davvero deliziosi nei loro costumi tradizionali. Alcuni quartieri sono colmi di case colorate che sembrano uscite da una cartolina. 

Vi ho scovato un video a dir poco meraviglioso, quindi prendetevi cinque minuti e sognate con me. 

sabato 19 settembre 2015

Listography #34: The Ways You’ve Changed Since Your Teens

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Sospendiamo un attimo il mio diario di viaggio per una piccola pausa rigenerante. Mentre termino il prossimo post sullo splendido Messico, vi racconto il Listography numero 34. :) 

Cambiamenti da quando eri adolescente.

Non so dire se sono cambiata molto da quando ero adolescente, ma di certo sono passata dai cambiamenti “classici” che facciamo un po’ tutti. Ho variato diverse volte il colore di capelli (ora son sul biondo, ancora in corso di schiarimento), nel 2001 ho tolto gli occhiali da vista cominciando a usare le lenti a contatto (una svolta epocale, mai soldi furono spesi meglio) e ho preso qualche chilo di troppo causa matrimonio e lavoro sedentario, cosa a cui sto tentando di porre rimedio e… ah! Ho smesso di mangiarmi le unghie e di fumare.

Psicologicamente non sono cambiata molto, perché non sono mai stata un’adolescente appartenente al fantastico mondo dei bimbiminkia. A dire il vero non sono cambiata molto nemmeno dall’infanzia, considerando che non l’ho mai avuta. Diciamo che ora, alla veneranda età di 40 anni, ho finalmente smesso di “portarmi il lavoro a casa”, cosa che prima facevo troppo spesso, contribuendo in questo modo soltanto all’ingrossamento del mio fegato. Ora mi cade la penna al termine della giornata lavorativa e mi si spegne quella zona del cervello riservata all’ufficio. 

Adesso, come diceva un vecchio amico: “Il tutto scivola sul piano inclinato della mia più totale indifferenza”.



Col tempo mi si è affinato l’istinto omicida, questo sì.

Mentre da adolescente tolleravo l’italiano medio e la sua immane ignoranza gratuita, oggi farei una pira di tutta questa gente; un bel falò in pubblica piazza.

Il Lato Oscuro, il mio Oscuro Passeggero, il Sauron che vive dentro di me in compagnia di Lord Voldemort e Darth Vader, vorrebbe eliminare dalla faccia della terra:

-          Colui che fa battute imbecilli e spesso offensive a nastro, al solo scopo di fare quello figo e simpaticone, non comprendendo minimamente di passare invece per un grosso, peloso, fastidioso e ciondolante testicolo con i piedi; Sì, sto parlando di te, Coglione.

-          Colui che appartiene alla schiera dei boccaloni oltre ogni dire, spettatore di Voyager e Mistero al posto di Super Quark e Discovery Channel; Sì, sto parlando di voi, laggiù su Facebook. La smettiamo di credere a ogni panzana e di condividere bufale dalla mattina alla sera contribuendo al diffondersi di pericolosa disinformazione? Ci pensano già i quotidiani, a farlo, non vi ci mettete anche voi. E sì, parlo anche di voi, che "non ci credo, ma nel dubbio condivido". 

-          Quello esperto di ogni cosa, che apre la bocca su qualunque argomento, solo per dimostrare di aver conseguito una laurea ad honorem in tuttologia; Sì, sto parlando di te, PiùScemo.

-          Quello vigliacco e pavido che se la suona e se la canta tutto da solo e fugge al posto di parlare quando c'è un problema. Sì, sto parlando di te, Chetebrilletdelontan.  

-          Quello laureato e pagato pure bene, che alla soglia dei cinquant’anni fa delle domande che non sono venute in mente nemmeno ad Ale e Franz nei loro spettacoli più belli. Sì, sto parlando con te, Scemo.

Ecco, per concludere, in questo sono profondamente cambiata. Prima questa gente la tolleravo, faceva parte della mia vita anche se era completamente diversa da me, ora ho capito che vivo benissimo senza, che anzi, questa gente è come un veleno per me. Forse è questo l’aspetto nel quale sono più cambiata dall’adolescenza. 

Prima queste persone mi strappavano persino un sorrisetto, ora sono io che vorrei strappare quel sorrisetto dalla loro faccia. A mani nude.

martedì 15 settembre 2015

127.0.0.Palenque, Chiapas - Messico - Giorno 11

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Palenque, Chiapas, Stati Uniti Messicani
19 Aprile 2007

Rieccoci a parlare dell’ennesimo Patrimonio dell’Umanità Unesco del Centro America. 
Sto parlando di Palenque.


Fonte dell'immagine: Wikipedia

Dopo aver lasciato San Cristobal De Las Casas e aver attraversato la Sierra Madre passando per le bellissime cascate di Agua Azul, siamo arrivati, più o meno 230 chilometri dopo, a Palenque

Partiamo col dire che Palenque non è soltanto un sito archeologico Maya, ma è anche una piccola cittadina che conta circa 40 mila abitanti. Provati dal viaggio, ci siamo goduti una bella cena e una rigenerante dormita presso il nostro nuovo e bellissimo hotel, il Mision Palenque; il giorno successivo, terminata la colazione americana, svegli e prontissimi, ci siamo diretti al famoso sito archeologico, che dista dalla cittadina solo dieci minuti di pullman. 


Si tratta di un sito di medie dimensioni, decisamente più piccolo di molti altri, ma raccoglie alcune delle opere più belle che i Maya abbiano mai prodotto. Su Palenque ci sarebbe davvero da scrivere moltissimo, ma vedrò di trattenermi, contenti?

Quando gli spagnoli arrivarono in Chiapas, Palenque era già stata abbandonata e qui, infatti, ha avuto luogo l’inizio della scomparsa di questa grande e potente civiltà che erano i Maya.
Il nome Palenque significa “Fortezza”, ma in passato questo luogo è stato chiamato anche Lakam Ha, che significa “Grandi Acque”, nome probabilmente nato dal fatto che la zona è circondata da molti fiumi, cascate e corsi d’acqua.


Palenque è definita il cuore del mistero Maya perché è qui, come ho detto, che la loro civiltà cominciò a spegnersi lentamente, lasciando che la natura si riprendesse tutto. Ai bordi della giungla tropicale sorge uno dei più bei centri rituali Maya, in funzione dal III al VII secolo d.C. Qui è possibile ammirare la tomba del celebre Re Pakal (K'inich Janaab' Pakal), adornata con una preziosa maschera di giada, capolavoro dell'arte Maya. L'intero sito copre un'area di 300 per 500 metri, ma la zona archeologica si estende per oltre 6 chilometri all'interno della Selva.

Per la storia di questo luogo, vi rimando a una lettura veloce di Wikipedia. Io mi limiterò a raccontarvi cosa ho visto con i miei occhi. 


La costruzione più bella in assoluto, e anche la più famosa, è il Tempio delle Iscrizioni, il monumento funebre del suddetto Re Pakal. In una camera segreta, raggiungibile attraverso un passaggio altrettanto segreto scoperto dagli archeologi tardivamente (soltanto nel 1952), si trova il sarcofago del Re, chiuso dalla sua misteriosissima stele. Credo che chiunque, appassionati e non, ufologi e non, abbia sentito parlare almeno una volta nella vita della Stele di Palenque. Il bassorilievo che decora meravigliosamente la stele è oggetto di discussione da sempre, sia fra gli stessi archeologi, sia per l’appunto fra appassionati di ufologia e mistero.


BREVE SPIEGAZIONE ALLA FOX MULDER

E’ innegabile che la figura umana presente sulla stele ricordi quella di un viaggiatore spaziale alle prese con un veicolo a propulsione. Un pilota o un astronauta, insomma. L’uomo sembra proprio impugnare i comandi di guida e nella zona posteriore del bassorilievo si nota quello che ha tutto l’aspetto di un motore che sputa fiamme. Visionando attentamente la stele, spunta anche un sedile, una specie di congegno a tubi che permette al pilota di respirare tramite una maschera e una sorta di cabina affusolata riconducibile a un razzo.

Erich von Däniken, uno scrittore svizzero, portò all’attenzione del pubblico questa immagine distorta e persino il famoso Peter Kolosimo, in Italia, ne riprese la bizzarra teoria, ipotizzando un incontro ravvicinato fra l’antica popolazione Maya e una progredita civiltà aliena. Una prova definitiva del fatto che, non solo non siamo soli nell’universo, ma che…


Agente Mulder: Sono già qui, vero?

Deepthroat: Signor Mulder, loro sono già qui da molto, molto tempo.


BREVE SPIEGAZIONE ALLA DANA SCULLY

I due scrittori però si fermano soltanto alle prime impressioni, alle ‘sensazioni’, tralasciando di approfondire scientificamente e storicamente la questione e i suoi tanti dettagli, vedi l’abbigliamento del “pilota” per niente adatto a un volo spaziale o la presenza di bassorilievi con similitudini, ma dal significato simbolico molto più chiaro ed evidente, ritrovati in altri scavi. 

Per farvela breve, nell’arte e nella simbologia Maya, tali figure rappresentano quello che viene chiamato il "Mostro della Terra" (il guardiano degli inferi). E’ facile supporre quindi che la scena sulla Stele di Palenque, ritragga magari lo stesso Re Pakal, raffigurato al momento della morte, durante il passaggio fra il mondo dei vivi e l'aldilà. Cosa, per altro, comune a decine e decine di altre culture.

Personalmente posso dirvi che dal vivo è bellissima. Incastonata in una piccola stanza buia e umida, ma comunque bellissima, tanto che non ho potuto esimermi dal comprarne una riproduzione in pietra, come souvenir. Eccola qua : )


Se la cosa dovesse risultarvi affascinante, magari perché dentro di voi vive un piccolo Agente Mulder ansioso di scoprire la verità che c’è là fuori, vi consiglio questo articolo che racconta il mistero (ormai poco misterioso) della Stele di Palenque.


Un’altra costruzione molto importante di Palenque è “El Palacio”. 
Si tratta di un complesso di edifici, cortili, interconnessioni, corridoi, portici e passaggi segreti nel sottosuolo, costruiti su una terrazza artificiale di pietra. 

Ancora, è possibile visitare il cosiddetto Gruppo delle Croci, l’Acquedotto, il Tempio del Leone, il Tempio del Conte e il campo del gioco della Pelota.



Il sito è circondato dalla giungla, colma di animali di ogni tipo, fra i quali spiccano in assoluto centinaia di grosse (e quando vogliono anche velocissime) iguane, appostate un po' ovunque a prendere il sole e a farsi fotografare paciosamente dai turisti. 


Un magnifico e quasi onirico sentiero immerso nella giungla permette di passeggiare nel cuore della vegetazione, fra liane, banani, palme, felci e alberi strepitosamente verdi circondati da limpidissimi e invitanti corsi d'acqua. Un sogno in pieno stile Tomb Raider, però senza pixelloni o T-Rex. Posso tranquillamente dire che quel sentiero mi rimarrà nel cuore a vita. 


Terminata la visita al sito, verso l'ora di pranzo, ci siamo fermati a mangiare in un ristorantino e una una volta rimpinzate le panze di tacos, tortillas e fagioli neri, abbiamo ripreso il nostro viaggio verso una nuova meta: Campeche. 
Cittadina capitale dell'omonimo Stato di cui parlerò nel prossimo post. 

Per il momento, quindi, ¡hasta luego! Queridos amigos!

lunedì 7 settembre 2015

127.0.0.Cascadas de Agua Azul, Chiapas - Messico - Giorno 10

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Agua Azul, Chiapas, Stati Uniti Messicani
19 Aprile 2007

Dal nostro bell'hotel di San Cristóbal de las Casas, il Mansion del Valle, abbiamo ripreso il nostro tour in direzione Agua Azul, attraversando la Sierra verde che porta fino alla misteriosa Palenque, ennesima tappa di questo lungo viaggio. 

Prima di arrivare a Palenque però, sulla quale farò un post dedicato, ci siamo fermati presso le magnifiche cascate di Agua Azul, immerse nel cuore dell'umida e calda foresta pluviale messicana grande centinaia di chilometri, nel comune di Tumbalà, a 173 chilometri da San Cristóbal de las Casas.



Le cascate sono innumerevoli, decisamente centinaia, da quelle più grandi, alte circa sei metri, a quelle di pochi centimetri; si tratta di una larga distesa d'acqua in perenne movimento, di un colore pazzesco che va dal verde smeraldo nei punti più profondi, all'azzurro e al turchese in quelli dove il livello raggiunge a malapena le caviglie. Da qui il nome Agua Azul. Acqua Azzurra.


All'interno di canyon non molto profondi, scavati dal fiume Tulijá e dagli affluenti dell'Otulún e del Shumuljá, i salti d'acqua di Agua Azul danzano attraversando le vallate ricchissime di fitta vegetazione della Sierra Madre. Le decine e decine di vene d'acqua zeppe di salti nella roccia si riuniscono in cinque cascate più grandi che diventano infine un'unica imponente cascata molto suggestiva, in particolar modo durante il periodo delle piogge, quando la mole d'acqua è violenta e la sua caduta portentosa. Il letto di queste cascate è di roccia calcarea molto chiara, che mette in risalto magistralmente il colore di quest'acqua, il turchese che le ha rese così famose e suggestive.



In alcuni tratti è possibile fare il bagno o persino immersioni, perché le naturali depressioni calcaree sono colme di acqua limpida, calma e pertanto sicura, al contrario di altre zone dove vi sono mulinelli, forti correnti e l'alto rischio di lasciarci le penne; cosa già accaduta in passato e a testimonianza di questo, alcune croci sono state sparse lungo i camminamenti sulle rive, in corrispondenza del tratto nel quale qualcuno ha perso la vita.



Mentre i ragazzi giocano e fanno il bagno, gli adulti praticano kayak e rafting e altri ancora, soprattutto donne, fanno acquisti nelle bancarelle d'artigianato locale sparse attorno al fiume o dai bambini che potete vedere in foto. 

Nel Parco Nazionale di Agua Azul vivono centinaia di specie animali e vegetali endemiche, mentre la lussureggiante foresta pluviale è la casa di una fauna selvatica considerevole, fatta di giaguari, scimmie, pappagalli, tucani, formichieri, uccelli di ogni tipo e molto altro. 
Personalmente qui ho incontrato le formiche più grandi che abbia mai visto. :)



Terminato il bellissimo giro presso le cascate, che volendo si possono persino sorvolare a bordo di un aereo ultraleggero, abbiamo ripreso il nostro viaggio verso Palenque, facendo altri 73 chilometri di pullman in mezzo alla spettacolare Sierra Madre. 

Come ho detto, su Palenque farò un post a parte, perché si tratta della culla del mistero Maya, custode della strafamosissima (soprattutto per gli ufologi e per gli appassionati di paranormale) Stele di Palenque, che sicuramente quasi tutti voi avrete sentito nominare almeno una volta nella vita.



mercoledì 2 settembre 2015

127.0.0.Chiapa de Corzo, Chiapas - Messico

02 settembre 0 Comments

Chiapas, Stati Uniti Messicani
18 Aprile 2007

Rieccoci in Messico! 
Se ben ricordate, eravamo rimasti a circa 5 chilometri dalla capitale del Chiapas, Tuxla Gutierrez, provatissimi dai 45 gradi e dal 100% di umidità, seduti su una velocissima lancia a motore, con un giubbotto di salvataggio addosso e tanti simpatici coccodrilli attorno. 
Il fiume dalle acque verdissime che attraversa il Canyon del Sumidero, scorre fra vertiginosi argini ricoperti di fitta vegetazione. Un eccezionale spettacolo che è possibile gustare anche con i piedi saldati al terreno (per chi temesse le barche o l'incontro ravvicinato con i coccodrilli!) da cinque belvedere mozzafiato che sovrastano la profonda gola. 



Terminata la visita al grandioso (e fortunatamente molto ventoso) Canyon del Sumidero, raffigurato persino sullo stemma dello Stato e su alcune monete, il nostro piccolo gruppo di una decina di persone si è diretto a Chiapa de Corzo, accompagnato sempre dalla simpatica guida Stefania.

Fonte: Wikipedia
Si tratta della più antica città del Chiapas e si trova lungo la ruta che da Tuxtla Gutiérrez arriva a San Cristóbal de las Casas. La prima cosa che si può notare entrando in città è la monumentale fontana, di forma ottagonale in mattoni rossi, caratterizzata da archi rampanti e un tetto a cupola, in pieno stile mudéjar coloniale. La Fuente de La Pila, situata nel Parque Central, risale al 1500 e si dice voglia richiamare alla mente la forma della corona spagnola o un diamante.

Un'altra tappa fondamentale, non distante dalla Fonte, è il Tempio di Santo Domingo de Guzmán, con la sua campana bronzea decorata in oro e fili d'argento da oltre cinque tonnellate che risuona fino a svariati chilometri di distanza.

Chiapa de Corzo è famosa per due aspetti: uno è la Fiesta Grande de Enero che si tiene a gennaio, ogni anno, dove i Parachicos (i ballerini vestiti con gli splendidi abiti della tradizione) scendono in strada a danzare, e l'altro è la cucina. Quì è possibile trovare una grande varietà di piatti appartenenti alla tradizione dell'intero stato.



Le danze Parachicos, termine che identifica sia i ballerini, sia il tipo di danza, sono considerate un'offerta per i santi. I coloratissimi ballerini attraversano tutta la città portando le immagini sacre e la festa inizia al mattino per finire di notte. E' possibile ammirare le loro splendide maschere di legno intagliato, le particolari acconciature, gli scialli ricamati e i nastri colorati, mentre i ballerini fanno vibrare nell'aria i sonagli di latta chiamati “chinchines”. 

L’arte di costruire maschere viene tramandata di generazione in generazione, dalla raccolta e l’essiccazione del legno fino alla scultura. Questa tradizionale festa è stata dichiarata persino Patrimonio Immateriale dell’Umanità UNESCO.

Custode della cultura Maya, il Chiapas è la terra dove vivono ancora migliaia di Indios i cui volti somigliano a quelli scolpiti nei monumenti e che si nutrono ancora come gli antichi progenitori; coltivando mais, zucche, fagioli e i frutti di quella stessa terra.



Terminata la visita a Chiapa del Corzo, siamo rientrati a San Cristóbal de las Casas, la nostra base per la notte, più o meno a un centinaio di chilometri di distanza. Sotto consiglio di Stefania, italianissima, a cena ci siamo staccati dal gruppone dei babbani e sempre noi dieci abbiamo cenato in una pizzeria gestita da nostri connazionali, gustandoci una bella pizza italiana.

Finalmente pasta, pomodoro e mozzarella! : )

There's no place like 127.0.0.1