Per l’etichetta Frammenti Videoludici, oggi tornerò a parlare della scrittrice e sceneggiatrice Jane Jensen, che dopo la trilogia di Gabriel Knight non si è fermata e anzi, ha fondato insieme al marito Robert Holmes persino un Adventure Game Studio, una casa di produzione videoludica dedicata esclusivamente alle avventure grafiche.
Nello specifico, oggi parleremo proprio dell’erede spirituale, così lo ha chiamato la stessa Jensen, di Gabriel Knight, ovvero Malachi Rector. Che nome cazzuto, aggiungerei.
I lavori della Jensen successivi a Gabriel Knight sono passati un po’ in sordina, semplicemente perché raggiungere l’altissimo livello della saga dello Schattenjäger non era davvero un compito facile. Ha sfornato alcune avventure molto belle e godibili (vedi Gray Matter di cui vi parlerò nei prossimi post), ma GK resta un capolavoro assoluto difficilmente superabile.
Moebius, che a mio parere si avvicina un pochino al nostro amato Gabriel, è un’avventura grafica punta e clicca uscita nell’aprile del 2014 e sviluppata da Phoenix Online Studios. La Jensen questa volta c’è andata vicino, ma ahimé non abbastanza. Nonostante ciò mi auguro con tutto il cuore che intenda proseguire in questa direzione, regalandoci un secondo capitolo e che soprattutto voglia approfondire ancora di più la sfaccettata e misteriosa personalità di questo ragazzo dal nome cazzutissimo. Se poi risolvesse anche un paio di problemini tecnico-fisico-psicologici che affliggono Malachi (fra poco ve li illustro), sarebbe fantastico.
Pare che la Pinkerton Road stia lavorando, fra le altre cose, a un quarto episodio di Gabriel Knight, anche se la notizia non è ancora stata confermata ufficialmente. Se così fosse, cari i miei appassionati di avventure grafiche, tenete in allenamento in neuroni perché fra GK4 e Moebius 2, ci sarà di che divertirsi.
Ma torniamo al nostro gioco.
Malachi (non sbagliate pronuncia eh, mi raccomando: è Malakay) è un giovanotto che svolge la professione di antiquario per la sua stessa galleria d’arte di Manhattan. La sua incredibile bravura nel distinguere a colpo d’occhio un falso perfetto da un originale gli ha portato grande successo nel suo lavoro e spesso viene assoldato da gente facoltosa che intende acquistare un pezzo unico per la propria collezione senza correre il rischio di farsi fregare. Questo lo porta al centro di situazioni non sempre piacevoli e anzi, spesso pericolose. Anche Malachi, come Gabriel, ha una collaboratrice, ma non svolge un ruolo fondamentale come Grace Nakimura. Almeno non per ora.
Malachi possiede una memoria fotografica, un QI altissimo e un’attenzione per i dettagli fuori dal comune, ma queste doti sono controbilanciate da un carattere freddo e calcolatore, poco empatico o emotivo. Il suo attico è quasi asettico e minimale, mentre il suo ufficio è riccamente arredato, al solo fine di impressionare il cliente. E’ un uomo che non sorride praticamente mai, prende a regolari intervalli di tempo un farmaco che poi scopriremo essere Xanax e la sua vita privata è a dir poco inesistente, ma già dall’intro di gioco capiremo anche che questo Malachi Rector nasconde un passato strano e affascinante. Accetta incarichi, anche pericolosi, sotto lauto compenso e non ha una buona opinione della polizia o dei servizi di sicurezza. A dire il vero Malachi non ha una buona opinione praticamente di nessuno. Il suo rapporto con gli altri e in particolar modo con le donne rasenta lo zero assoluto e l’unico amico vero che si farà nel corso del gioco è un ex militare dell’esercito americano che saprà conquistare la sua fiducia e il suo affetto in modo totale.
Per caso vi ricorda qualcuno? Come dite? Sherlock Holmes!? MA DAI. Bravissimi. Vi facevo meno acuti. In particolar modo ricorda lo Sherlock della BBC con il meraviglioso Benedict Cumberbutch nella parte di Holmes. Alto, sottile, pallido, affascinante, con un QI esagerato e accompagnato dalla figura di Watson, ex miliare pronto a tutto per proteggere e aiutare il suo amico investigatore. Un’altra somiglianza di tipo cinematografico con questa serie è la comparsa a “pop up” dei dettagli che nota Malachi quando osserva qualcosa o qualcuno. Grazie a una nuvola di parole che si muove sullo schermo, possiamo leggere i ragionamenti logici e le deduzioni che sta facendo il nostro eroe. Bellissima trovata, è vero. Peccato non sia interattiva come speravo.
Beh, la nostra Jensen, dopo aver partorito un personaggio originale, memorabile e scanzonato come Gabriel Knight ha evidentemente esaurito la fantasia per quanto riguarda i protagonisti maschili delle sue storie. Per carità, come tutti voi sapete, io amo alla follia il personaggio di Sherlock Holmes e darei via il mio rene destro perché fosse reale, ma Jane… andiamo. Dovevi proprio copiare TUTTO? E poi scusami sai, ma di Sherlock Holmes ce n’è uno solo, dovresti ben saperlo.
Insomma, il nostro Sher… ahem, Malachi, durante una trasferta di lavoro in Egitto, salva la vita a un uomo, tale David Walker, ex miliare biondo e muscoloso in viaggio di piacere che viene aggredito in un vicolo, apparentemente senza un motivo, da alcuni misteriosi uomini vestiti di nero in stile ninja. I due col tempo diventeranno amici e Malachi lo prenderà come guardia del corpo. Tornati a Manhattan, l’antiquario viene contattato da un’organizzazione governativa segreta che vorrebbe assumerlo per un compito quanto mai curioso. Investigare sull’omicidio di una donna avvenuto a Venezia, in Italia.
Da questo punto, ovviamente, la storia si complica e si infittisce: chi sono gli uomini che hanno aggredito David e perché? Perché un antiquario viene assunto per investigare su un omicidio accaduto all’estero? Chi fa parte di questa organizzazione governativa? Perché l’amicizia con l’ex militare sembra risvegliare in Malachi ricordi sopiti di una qualche vita passata? Cosa c’entra in tutto questo la presenza del nastro di Möbius e di personaggi storici come Maria Antonietta o Lucrezia Borgia?
Vi racconterei di più, ma non voglio rischiare di spoilerare questa trama un po’ Dan Brown che personalmente ho trovato molto bella, anche se difettata in svariati punti. L’idea che c’è alla base della storyline, il pretesto insomma, è buono e affascinante anche se non molto originale, ma la Jensen e la sua squadra hanno toppato in alcune cosette tutto sommato perdonabili. Vediamole insieme…
Malachi viene descritto, anche se non esplicitamente, come un tipo non solo affascinante caratterialmente (e secondo me dovevano caratterizzarlo meglio in tal senso, approfondendo di più il suo passato), ma anche molto avvenente fisicamente e questo, lasciatemelo dire, non si evince granché. La leggera “gobba” che lo affligge e lo fa camminare come un lontano parente di Igor non aiuta affatto e il colorito non proprio salubre nemmeno. Forse troppo magro, soprattutto paragonato al muscoloso David Walker, fa la figura del malaticcio. I giunti di spalle, gomiti, ginocchia e bacino dei modelli 3D sono carenti di fluidità e il risultato è un movimento legnoso decisamente poco atletico. Insomma, non fosse per i capelli scuri e l’assenza di rughe, sembrerebbe un vecchietto con l’artrosi in compagnia di un modello di Kalvin Klain che sfila in passerella come un tronco.
Fastidiose anche le animazioni lente di Malachi quando cambia scenario. Per fortuna hanno lasciato la possibilità di attivare l’effetto “teletrasporto” con un doppio click del mouse. A seconda di come deve svolgersi la scena, però, non sempre sarà consentito.
Detto questo, dopo un po’ ci si fa l’occhio e il tutto passa in secondo piano, anche perché l’ambientazione attorno ai personaggi è davvero ben fatta. L’interfaccia è proprio carina nei suoi toni freddi e molto sci-fi e l’idea di fondo, come ho detto, funziona e ha un discreto fascino.
Certamente non tutti conoscono la figura topologica del Nastro di Moebius, ma vi basti sapere che è alla base di una teoria molto affascinante. Se percorrete con un segno di matita il Nastro in tutta la sua lunghezza, vedrete che a un certo punto vi ritroverete nello stesso identico punto dove avete iniziato. Questo, per usare una banalità, potrebbe significare che tutto quanto, nella vita, si basi su cicli sempre uguali; potrebbe significare che la reincarnazione esiste, oppure che alcuni nascituri siano destinati a ripercorrere le gesta compiute da altri nel passato, anche a distanza di molto, molto tempo. Del resto, dopo un periodo di crisi c’è sempre un periodo di risorgimento, dopo una guerra c’è sempre la pace e così via. Cicli che possono venir ripercorsi anche nelle azioni di un singolo uomo. Potrebbe esistere qualcuno che, senza nemmeno saperlo, compie un percorso di vita identico a Napoleone. O a Giulio Cesare e Leonardo Da Vinci. Immaginate le implicazioni di una scoperta di questa portata. Poter individuare in anticipo che quella determinata persona è predestinata a cambiare il futuro di uno Stato, di una corrente politica, della scienza o dell’intera umanità.
Il nostro protagonista è in grado di riconoscere questi schemi ricorrenti per un motivo ben preciso che, ovviamente, non vi dirò. Talento, questo, che farà gola a parecchi in diverse sfere governative intenzionate a mettere le mani su personalità che un giorno, in futuro, saranno di spicco in tutto il mondo detenendo fra le mani poteri politici enormi. Malachi accetta questa situazione ai limiti dell’incredibile e questo suo talento fin troppo bene e questa, secondo me, è la prima pecca del gioco. Per una persona intelligente come lui, con un QI così alto, dovrebbe essere difficile credere e accettare una spiegazione così poco scientifica eppure per lui, dopo un primo momento di incredulità, diventa “normale”. Nemmeno Gabriel ci ha messo così poco per capire e accettare il suo ruolo di Schattenjäger. Figuriamoci una copia di Sherlock Holmes.
Questa incoerenza rende la figura di Malachi troppo sottile e fredda. Avrei preferito un eroe incredulo e pieno di dubbi e domande che lo tormentano di fronte a questa psuedoscienza e perché no, qualche comportamento scorretto causato dal suo microscopico lato emotivo, che da qualche parte deve pur essere; avrebbe certamente reso il protagonista di spessore, con un’umanità paragonabile alla nostra, alla quale affezionarsi. E invece no. Confido in Moebius 2, per questo.
Lo svolgimento degli enigmi e delle deduzioni è fin troppo guidato e anche in questo caso avrei preferito avere più libertà d’azione e quindi una possibilità in più di sbagliare bellamente. Mettiamola così: non c’è bisogno di essere Sherlock per fare le deduzioni di Malachi o arrivare a fare lo stesso tipo di ragionamento. Ampliando il ventaglio di possibilità sarebbe stato più facile sbagliare, ma anche divertirsi di più spremendo le meningi. Impersonare una figura con il QI di Sherlock Holmes DEVE essere un’impresa difficile, per il giocatore. Non può certo essere una passeggiata, altrimenti l’impalcatura della credibilità diventa instabile.
Sembra che stia elencando soltanto i difetti, me ne rendo conto, ma vi assicuro che Moebius è un gran bel gioco, soprattutto se paragonato a tante avventure che si trovano in giro al momento e l’impronta letteraria della Jensen, la sua estrema precisione sui contenuti storici, la sua grande affidabilità per quanto riguarda dialoghi e trama è palpabile durante tutta la durata del gioco.
Però vorrei concludere la lista dei difetti, parlandovi di quello che mi ha fatto più incazzare in assoluto. Passi che i giunti nodali delle animazioni 3D siano artrosici, passi che Malachi, che dovrebbe essere un sex symbol alla Fox Mulder in X-Files, abbia la gobba e sembri anemico, passi che il protagonista sia caratterialmente un copia e incolla di Sherlock Holmes, ma:
…che io debba prendere un volo per andare a interrogare una tipa (-- >) e che dopo la chiacchierata io debba prendere un altro volo per tornare a casa, (< --) con il solo scopo di comprare una bottiglia di whiskey (limando pure sul prezzo anche se sono ricco) da portare alla suddetta tipa, (-- >) che mi sta aspettando sul divano, dato che le ho detto “Torno subito, aspettami qua”, NO EH.
NO, mi rifiuto. Vi siete bevuti il cervello!? C’è qualcuno nello staff della Jensen che si è accorto di quanto questa scena sia idiota, ridicola e grottesca!? Come si può pensare di prendere un volo andata e ritorno solo per andare a comprare una bottiglia di whiskey?!? Dove abita questa tizia!? Nel Quadrante Delta!?
Ahem. Perdonate lo sfogo. Riprendo il controllo e mi avvio verso la conclusione di questa mia recensione.
Un plauso alla scelta di raccogliere gli oggetti solo quando se ne ha veramente bisogno, quanto meno si evita di riempire l’inventario con cumuli di cianfrusaglie da usare chissà quando.
Inizialmente il gioco sembra, e sottolineo sembra, strutturato non più a capitoli o giorni come la saga di Gabriel Knight, ma a “singoli casi”, il che mi ha fatto sperare inutilmente in possibili future espansioni o in una struttura simile a una serie TV poliziesca, dove c’è un caso nuovo da risolvere in ogni puntata, ma anche una trama portante che si srotola piano piano col proseguire della serie (Vedi X-Files). Purtroppo si tratta solo un’impressione che ha il giocatore nelle prime ore di gameplay, perché parliamo di un gioco unico, con un’unica trama, che dura in totale una quindicina di ore, suddivise in sette capitoli.
Ho apprezzato MOLTISSIMO una sfaccettatura abbastanza nuova e coraggiosa di questa avventura; l’evidentissima relazione sentimentale, nonché tensione sessuale che si instaura col tempo fra l’apparentemente freddo Malachi e l’aitante David Walker, personaggio a dire il vero di ben poco spessore (peccato). Questo aspetto umanizza finalmente il robotico Malachi e dona alla storia un risvolto romantico inaspettato e piacevole.
Le vicissitudini dei due protagonisti adombrano un pochino il “cattivo” della situazione e si fatica a capire chi realmente sia e in che modo stia agendo.
Sul finale ritroviamo un tema caro alla Jensens: il topo nel labirinto. Chi ha giocato a Gabriel Knight 1 (la foresta del rito voodoo), 2 (la foresta attorno al circolo di caccia e i sotterranei del teatro) e anche se in versione ridotta al 3 (le cantine di Chateau Le Serre), sa di cosa parlo. Una sequenza di schermate fisse tutte molto simili fra loro in modo da confondere a dovere il povero giocatore, dove è necessario scegliere la giusta direzione (sulle prime a istinto), qualche volta anche a tempo, fra i quattro punti cardinali. Frustrante persino nel meraviglioso capolavoro GK2 dove quel continuo “Nord e chiudi la porta”, “Sud e chiudi la porta”, “Est e lascia aperta la porta”, “Ovest esticazzi”… mi avevano fatto venir voglia di gettare il PC fuori dalla finestra.
Parlando invece del comparto audio, posso dire che come sempre è stato fatto un lavoro eccelso dal marito della Jensen, il compositore Robert Holmes e che il doppiaggio è ottimo.
Ricapitolando:
PRO: Trama piuttosto originale garantita e firmata Jane Jensen; molto divertente da giocare, graficamente piacevole, ottimo audio, doppiaggio italiano e longevità buona per un’avventura punta e clicca.
CONTRO: Personaggi rigidi e poco approfonditi caratterialmente. Un paio di fantastronzate tipo il volo andata e ritorno per comprare una bottiglia di whiskey; protagonista scopiazzato da Sherlock Holmes e qualche eco di troppo proveniente dai vecchi Gabriel Knight.
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