Quello di oggi è un tema che mi tocca da vicino e riguarda una delle mie passioni: la letteratura.
E’ un post difficile, perché le sfaccettature dell’argomento che vado a trattare sono moltissime e mi è tecnicamente, ed empaticamente, impossibile descriverle tutte con lo scopo di farvi capire a fondo quanto di bello ci sia dietro, ma ci proverò e chi avrà la pazienza di leggerlo tutto, ne sono certa, ne uscirà un poco più ricco.
Come ogni storia che si rispetti, anche quella che mi appresto a raccontarvi, ha un personaggio principale e una location.
Il personaggio in questione è Romina Mazzara, la mia migliore amica. La mia sorella d’anima.
Ci legano moltissime cose, ma le due principali sono l’amore per la scrittura e per i viaggi, in particolar modo per due città.
La mia location, come molti di voi sapranno ormai molto bene, è Helsinki.
La location di Romina è Trieste.
Due città lontane centinaia e centinaia di chilometri, ma con un’Anima comune. Due piazze aperte sul mare, due architetture per certi versi molto simili, due città del vento, due terre che si sono trovate a lottare poiché contese da svariate parti a causa della loro posizione strategica assai allettante, come un tiro alla fune senza orizzonte. Due luoghi di confine, senza un’apparente identità, due mete che tutto sono fuorché turistiche. La maggior parte della gente non sa nemmeno indicarle su una mappa, eppure ci sono. Sono lì, pulsano, vivono, ricordano e soprattutto entrambe esorcizzano.
In maniera differente, ne convengo.
Helsinki esorcizza il suo dolore passato, le sue cicatrici, ricamandoci sopra storie di uomini coraggiosi, uomini di mare e boscaioli delle immense foreste che forti della loro identità profondamente radicata, hanno combattuto con onore resistendo a guerre e a tremendi inverni e che alla fine hanno vinto, a dispetto di due incredibili potenze belliche e politiche come Russia e Svezia. Helsinki esorcizza con la fierezza, con l’amore per la Natura, per la terra, per il mare, per le foreste e per i quasi duecentomila laghi che punteggiano la Finlandia. Helsinki è una città che ama se stessa.
Chi arriva a Helsinki viene accolto con una carezza, con l’anima serena di una popolazione che ha raggiunto finalmente la pace e il riconoscimento della propria identità come popolo di una Repubblica tangibile. I finlandesi hanno combattuto come eroi per conquistare la loro terra e ora che hanno vinto, la amano immensamente, incondizionatamente, come farebbe un cavaliere che ha combattuto all’ultimo sangue, con le unghie e con i denti, per la sua dama.
Trieste invece esorcizza il suo dolore passato, le sue cicatrici, in un modo completamente diverso, oserei dire opposto. Trieste ne ha viste di cotte e di crude, davanti ai suoi occhi si sono srotolate carrellate di orrori indicibili. La storia di Trieste è quella di un bambino orfano che immobilizzato su una sedia ha dovuto assistere al macabro orrore della Risiera di San Sabba, l’unico campo di concentramento su suolo italiano con il forno crematorio. Malgrado le sue cicatrici tremende, la crisi economica che l'ha quasi rasa al suolo, l'occupazione tedesca e mille altri traumi, Trieste ha sfornato decine di letterati d’immensa fama, come James Joyce, Italo Svevo, Umberto Saba o anche i più contemporanei Susanna Tamaro, Mauro Covacich e Paolo Rumiz. L'esorcizzazione di Trieste sta nella convivenza. Trieste convive con il trauma da sempre, è magistralmente esperta nel fare buon viso a cattivo gioco, convive con la Bora che la flagella continuamente, con il ricordo di quel forno che ha visto morire innumerevoli innocenti. Trieste non dimentica.
Chi arriva a Trieste viene accolto con uno schiaffo a mano aperta d'aria fredda e pungente.
Quando conobbi Romina, non potevo immaginare di avere così tanto in comune con lei e la cosa che ci ha vicendevolmente colpito è stato proprio l'amore incondizionato, anche se di diversa sfumatura, per queste due città. Non è la bellezza che ci attrae, non è il fascino del luogo lontano e sconosciuto, non è un'attrazione di tipo meramente turistica, ma è qualcosa che va oltre. E' un frinire di cicale in mezzo al petto, una pioggia d'estate sull'erba appena tagliata, un vibrare d'azzurro che graffia l'anima, è la melanconia di una città che ci appartiene senza un palese perché.
Ecco perché amiamo queste due città, le amiamo perché non c'è alcun bisogno di domandarsi perché.
Romina ha deciso di ricambiare ciò che Trieste le ha dato in questi anni scrivendo su di lei la sua Tesi di laurea. Una tesi che tesi non è, ma piuttosto si potrebbe definire come la più sentita delle dichiarazioni d'amore. Dichiarazione che ora è diventata libro. Un saggio, che è stato da poco pubblicato e che s'intitola Trieste, una principessa che si mangia le unghie.
Al momento ha fatto una sola presentazione, a Bologna, ma presto ci saranno altre date. A Milano, a Trieste e probabilmente ancora a Bologna.
E' stata un'emozione per me essere presente sia alla sua Tesi, assolutamente unica nel suo genere tanto da commuovere ogni singola persona presente, sia alla presentazione di Bologna. Un 110 e lode con stretta di mano accademica che non dimenticherò mai.
Io non so se voi siete pratici di Trieste o se solo l'avete sentita nominare, ma poco importa. Se nel vostro cuore c'è un luogo speciale, un posto dove rifugiarsi, una città che vi scalfisce dentro come un punteruolo, una panchina, magari sul molo di un porto o sulla cima di una vallata che vi smuove qualcosa dentro, che vi regala brividi di gioia, che vi fa stare bene e vi inumidisce lo sguardo rapito dalla bellezza del tutto e del più piccolo dettaglio, allora dovete farvi questo regalo e leggere questo libro.
Se anche voi, siete soliti mangiarvi le unghie, allora fatelo.
"L'ho sempre immaginata così, Trieste.
Come una principessa, appunto, come la descrive Covacich.
Che si mangia le unghie.
Me la sono sempre immaginata così, adolescente, poco più che ragazzina, nel Limbo, inquieta, circospetta, incazzata, con un mantello fatto di paura.
Me la sono costruita così, con il piercing alla lingua, una salamandra tatuata sul collo, un top che lascia scoperto l'ombelico.
Ma, sotto una frangia bionda alla moda, gli occhi seri, composti e turbati di chi, della responsabilità dell'essere principessa, ne farebbe volentieri a meno.
Me la sono vista, questa principessa in imbarazzo, questa ragazzina come tante, questa figlia di nessuno, addossata ad un muro sporco di graffiti, con le scarpe da ginnastica, i jeans consumati, l'aria di sfida, le mani affusolate, in un cantuccio da cui non riesce ad uscire.
E' bella, la Trieste fatta ragazzina, è friabile, è disincantata, è feroce, urla per un nonnulla, è capricciosa e insoddisfatta, è intelligente ma non si impegna, è tormentata e troppo grande, troppo orgogliosa e troppo ferita per mettersi lì, a chiedere una stretta di mano, una pacca di incoraggiamento o addirittura un abbraccio di consolazione.
Però bisogna guardarla bene, questa ragazzina, dall'alto, da dietro, ed osservare cos'ha lì, nascosto, cosa tiene stretto tra le mani intrecciate dietro la schiena, rasente il muro sporco, attaccata al suo cantuccio buio, per comprenderla davvero.
Nessuna corona, nessuno scettro, nessuna canna da fumare al momento più opportuno.
La principessa che si mangia le unghie, nascosto dietro la schiena, ha un orsacchiotto di peluche consumato.
Il ricordo più bello di quando era bambina."
Come una principessa, appunto, come la descrive Covacich.
Che si mangia le unghie.
Me la sono sempre immaginata così, adolescente, poco più che ragazzina, nel Limbo, inquieta, circospetta, incazzata, con un mantello fatto di paura.
Me la sono costruita così, con il piercing alla lingua, una salamandra tatuata sul collo, un top che lascia scoperto l'ombelico.
Ma, sotto una frangia bionda alla moda, gli occhi seri, composti e turbati di chi, della responsabilità dell'essere principessa, ne farebbe volentieri a meno.
Me la sono vista, questa principessa in imbarazzo, questa ragazzina come tante, questa figlia di nessuno, addossata ad un muro sporco di graffiti, con le scarpe da ginnastica, i jeans consumati, l'aria di sfida, le mani affusolate, in un cantuccio da cui non riesce ad uscire.
E' bella, la Trieste fatta ragazzina, è friabile, è disincantata, è feroce, urla per un nonnulla, è capricciosa e insoddisfatta, è intelligente ma non si impegna, è tormentata e troppo grande, troppo orgogliosa e troppo ferita per mettersi lì, a chiedere una stretta di mano, una pacca di incoraggiamento o addirittura un abbraccio di consolazione.
Però bisogna guardarla bene, questa ragazzina, dall'alto, da dietro, ed osservare cos'ha lì, nascosto, cosa tiene stretto tra le mani intrecciate dietro la schiena, rasente il muro sporco, attaccata al suo cantuccio buio, per comprenderla davvero.
Nessuna corona, nessuno scettro, nessuna canna da fumare al momento più opportuno.
La principessa che si mangia le unghie, nascosto dietro la schiena, ha un orsacchiotto di peluche consumato.
Il ricordo più bello di quando era bambina."
- Romina Mazzara -
“Trieste, una principessa che si mangia le unghie” è un saggio concepito come un romanzo e insieme come la più sentita delle dichiarazioni d’amore per Trieste, che l’autrice definisce sua città dell’anima, e per tutto quello che per lei Trieste significa, attraverso l’analisi, il più possibile appassionata e mai troppo scientifica, di tre personalità fuori dal comune, che in modo ugualmente fuori dal comune hanno raccontato e in un certo qual modo tentato di “salvare” Trieste: Mauro Covacich, Jan Morris e Anita Pittoni. Questo romanzo-dichiarazione d’amore è stato scritto in una settimana: Romina Mazzara non ha ancora capito (e se lo domanda spesso!) se Trieste può esserne davvero orgogliosa.
Romina Mazzara ha trentun’anni, ma vorrebbe averne ancora venticinque, perché dice che suona meglio, una laurea cum laude in Lettere e un’insana passione per Madonna, Sex and The City , il mare, la lavanda, i lampioni antichi, i viaggi con gli amici, i trolley consumati e il profumo del caffè. Adora fare colazione, insegna, scrive da quando aveva sei anni e ha un fratello in cielo e un fratello e una sorella d’anima, un gatto che si crede un cane e una famiglia che, ricambiata, adora. Ha conosciuto Trieste a 18 anni, c’è andata la prima volta a 24, e da allora non si è ancora fermata: per una nomade come lei, nulla come il nessun luogo può essere la migliore delle case.
Davvero una splendida recensione, complimenti ^^
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