sabato 30 gennaio 2016

127.0.0.Messico - Spagna

30 gennaio 0 Comments

Aeroporto di Cancun 
Quintana Roo, Stati Uniti Messicani
23 Aprile 2007 Ore 16.13

Siamo appena saliti sul volo Cancun - Città del Messico, il primo di una serie di tre che ci riporterà in Italia. Questo bestione è un Airbus320 della Compagnia Mexicana
E’ un dispiacere tornare a casa, ma l’unica consolazione è il non dover mangiare più cibi a rischio Maledizione di Montezuma, per altro presa questa notte in forma violentissima, infatti adesso sono imbottita di farmaci e sto davvero malissimo. 
Avevo persino mandato il neomarito alla disperata ricerca del medico in servizio presso l'hotel, perché c'è stato un momento durante il quale ho seriamente pensato che sarei morta sul water di un hotel stralusso dei Caraibi (ridete pure, ma io non sto affatto scherzando...), per fortuna nella Hall ha incontrato il nostro compagno di viaggio "Indiana", che gli ha suggerito di imbottirmi di medicine e caricarmi a tutti i costi sul volo; altrimenti mi avrebbero ricoverato e chissà quando saremmo potuti rientrare in Italia. 

Al momento sono farcita di
  • 2 Imodium
  • 1 Dissenten
  • 1 Bimixim
  • Litri di Enterogermina
Oltretutto a Cancun ci sono 40 e passa gradi e nella nostra stanza, dalle tubature del bagno, scarico del wc compreso (!), usciva solo acqua rovente con tanto di vapore, senza la benché minima spiegazione tecnica. Penso di poter affermare con assoluta certezza di aver visitato un girone dell'inferno dantesco riservato ai Maledetti di Montezuma. 
  

In volo
Ore 17.07

Siamo ancora in volo; ci hanno servito una specie di merenda composta da un panino a dir poco osceno e un paio di biscotti alla cannella che noi detestiamo. C’erano anche delle patatine e quelle almeno le ho mangiate, anche se con grande cautela data la situazione.

Ci sono un bel po’ di turbolenze, si balla davvero molto. Non riesco neppure a scrivere.

Speriamo bene... sto già abbastanza male per conto mio.


Aeroporto di Ciudad De Mexico
Stati Uniti Messicani
Ore 20.45


Siamo atterrati sani e salvi ormai da un po'. Al momento siamo seduti in aereoporto a Città del Messico. 
Stiamo bevendo una Cerveza Sol e Dio solo sa come io ci riesca. Probabilmente è merito del chilo di farmaci che ho ingurgitato ore fa. Sono le 20.47. Abbiamo preso due stecche di Marlboro alla menta al duty free e aspettiamo il volo eterno Città del Messico - Madrid che è in ritardo di circa due ore. Che meraviglia...

Tanto per non farci mancare proprio niente, fuori imperversa un temporale spaventoso con vento furibondo, lampi, tuoni, fulmini e saette. Ecco spiegate le turbolenze tremende nel volare da Cancun fino qua. La pioggia che scroscia violenta sulle grandi vetrate dell'aeroporto illuminate a giorno dai lampi e il vento che squassa le ali degli aerei fermi sulle piste son terrificanti.

Abbiamo conosciuto una coppia italiana che fa la nostra stessa tratta fin dall’hotel di Cancun; sembrano simpatici, almeno lui lo è, lei non saprei: è molto meno chiacchierona del compagno. In compenso in bagno la signorina ha dato il meglio di sè, dimostrando notevoli doti come dire… ‘canore’. 
Lui parla spagnolo benissimo, che invidia

La mia Maledizione di Montenzuma si è apparentemente placata, ma mi sento uno straccio. Sono debole, provata e stanchissima. Dovevamo arrivare in Italia passata l'ora di cena, ma ho paura che prima delle due del mattino non saremo a casa. 

Arriveremo mai almeno a Madrid?!

lunedì 25 gennaio 2016

Il Seksu, ovvero Couscous alle verdure Gluten Free

25 gennaio 0 Comments

Ecco qua il secondo post per l’etichetta Gluten Free, dedicato questa volta a un piatto tipicamente berbero: il seksu, ovvero il famosissimo couscous.

Come tutti sanno, si tratta di un’antichissima specialità tipica del Nordafrica (Tunisia, Marocco, Libia, Algeria) e della Sicilia occidentale, anche se ormai si diffuso a macchia d’olio in tutto il resto del mondo. E’ costituito da granellini piccolissimi di semola, cotti al vapore.
Apprezzato da molti, semplice e rapidissimo da fare quando precotto, richiede invece una lunghissima e complessa preparazione quando si decide di farlo partendo dalla sua genesi (cosa che vi sconsiglio caldamente, a meno che non abbiate tantissimo tempo a disposizione e un’enorme passione per l’arte culinaria).

Come per il ramen (se vi foste persi il mio precedente post, fate un clic qua), il couscous non ha una ricetta precisa, perché a seconda di dove viene preparato, cambia sensibilmente. Oggi poi si usano anche farine diverse dalla semola originaria e in caso di celiachia, quella più adatta è di mais, che è un alimento naturalmente senza glutine.
Potremmo quasi dire che il couscous è concettualmente molto simile alla paella spagnola, anche se non si tratta di riso è comunque un piatto unico dove la base è sempre la stessa, ma il condimento cambia non appena ci si sposta di paese, città o stato. Il condimento del couscous va dalla carne di agnello a quella di pollo o dal pesce alle verdure.
Pensate che in Marocco a volte viene servito anche come dolce, accompagnato da cannella, mandorle e zucchero. Tradizionalmente viene servito insieme a latte aromatizzato con acqua di fiori d'arancio.
Insomma, a seconda dei gusti, è possibile farne un dessert, un piatto vegano, vegetariano o per gli amanti della carne o del pesce.

Il tipo di cottura dovrebbe essere sempre al vapore (quindi di base è anche un piatto sano e nutriente), l’aspetto dev’essere morbido, leggero e i granelli non devono formare grumi, quindi il trucco principale è quello di non essere timidi e sgranarlo con le mani.
In commercio se ne trovano molti tipi diversi e sono quasi tutti precotti, dalla preparazione veramente veloce; molto più veloce anche di un banale piatto di spaghetti col pomodoro.

Foto: www.cookaround.com/
I più esigenti e appassionati di cucina etnica, usano una pentola apposita che in francese si chiama cuscussiera. Una pentola di metallo abbastanza alta e bombata dove all’interno si fanno cuocere in umido le verdure, la carne o il pesce, mentre nella parte alta vi è una seconda pentola forellata, dove si mette il couscous che viene cotto dal vapore dell’acqua sottostante.
I comuni mortali come me, invece, usano un banale boule in plastica o vetro, dove adagiano il couscous e il brodo caldo.

Dopo una piccola e necessaria spiegazione riguardo al couscous, passiamo a parlare di quello che ho preparato al mio maritino celiaco. E’ una ricetta semplicissima, uscita dalla mia immaginazione, che è risultata molto buona, tanto che mi è stato chiesto di rifarla quanto prima. Pronti? Come sempre non vi dirò le dosi, perché potrete farlo assolutamente a piacere, a seconda del vostro appetito. Potete farne anche una dose generosa per riporla in frigo e mangiarla anche il giorno successivo.


INGREDIENTI - Tutti Gluten Free:

· Couscous di mais precotto senza glutine (io ho usato il Pedon Easyglut)
· Olio
· Acqua salata (o se preferite brodo gluten free, fatto o meno con le vostre manine sante)
· Peperone giallo
· Zucchine
· Cipolla rossa
· Aglio
· Concentrato di pomodoro
· Pomodorini
· Ceci (in vetro e non secchi, se non volete perderci un sacco di tempo per l’ammollo)
· Funghi trifolati (o freschi, a piacimento)
· Salvia
· Peperoncino
· Zenzero in polvere (o fresco, come volete)
· Curry

PREPARAZIONE:

Per prima cosa prepariamo il couscous secondo le indicazioni del produttore che troverete sulla confezione. Normalmente si mette la quantità desiderata in una ciotola grande (un boule, meglio se di vetro) e si scalda dell’acqua in un pentolino, con del sale e dell’olio (oppure, se preferite, potete usare del brodo). Io aggiungo anche il concentrato di pomodoro e porto il tutto a bollore. Quando bolle, spengo il fuoco, assaggio per controllare il sale e verso il liquido delicatamente sul couscous. Dopo una bella prima sgranata con una forchetta, lo copro e attendo circa 15 minuti che intiepidisca e si gonfi.

Mentre attendete, sbucciate l’aglio, togliete l’anima e tritatelo.
Fate la stessa cosa con la cipolla rossa poi, in una padella abbastanza grande, fate dorare l’aglio in un filo d’olio e solo successivamente aggiungete anche la cipolla a fuoco basso.

Nel mentre lavate e tagliate il peperone a metà, togliete i semi e le coste bianche che risultano indigeste e se volete renderlo ancora più digeribile togliete anche la pelle.
Se avete la fortuna di avere un microonde, fate così: prendere il peperone tagliato, senza semi e lavato e mettetelo nel forno per 2 minuti e mezzo, massimo 3, alla massima potenza, poi tiratelo fuori e mettetelo in un sacchetto da freezer chiuso molto bene. Attendete circa 5-7 minuti. Il calore staccherà la pelle meravigliosamente.
Fatelo a dadini e aggiungetelo alla cipolla insieme ai ceci precedentemente scolati e sciacquati dalla loro acqua di conservazione. Se siete intolleranti al nichel, vi consiglio di acquistare quelli in vetro e non in barattolo.

Se la cipolla vi fa lacrimare e possedete il suddetto microonde, potete usare questo trucchetto prima di tritarla: mettete la cipolla ancora intera (ma senza i poli) per massimo 35-40 secondi nel forno alla massima potenza. Stando attenti a non scottarvi tiratela fuori e tritatela. I suoi effluvi saranno meno violenti : )
Potete usare il microonde persino per sbucciare l’aglio senza usare le mani. Basta lasciare gli spicchi nel forno a potenza media per 20 secondi.

Detto questo, torniamo al nostro piatto: aggiungete nella padella anche i funghi trifolati, le zucchine tagliate a dadini, la salvia e i pomodorini tagliati a metà. Se il tutto vi risulta molto asciutto, aggiungete del brodo caldo o della semplice acqua. Coprite e fate stufare a fuoco medio fin che la cottura non sarà di vostro gradimento.
A questo punto, prima di spegnere il fuoco, scoprite la padella e condite con zenzero, curry e peperoncino, aggiustando infine di sale.


Ottimo, siete pronti per assemblare il vostro piatto. Prima però assicuratevi di sgranare con le mani il vostro cous cous, che nel frattempo si è intiepidito, fino a eliminare ogni sorta di grumi. Unite il condimento al couscous nel boule e girate con un cucchiaio di legno e una forchetta per continuare a sgranare.

Impiattate e se volete fare i fighi, decorate il piatto con un ciuffetto di menta e una spolverata di pepe alla creola.

Il couscous si può servire sia caldissimo che a temperatura ambiente; è solo una questione di gusti. Potete conservarlo in frigo fino al giorno dopo, avendo solo cura di riscaldarlo un po’ prima di consumarlo. A temperatura ambiente è ottimo, ma il freddo del frigo non esalterebbe il suo sapore così aromatico.

Per qualsiasi nozione inerente la celiachia, invece, vi rimando all’unico sito davvero attendibile nel quale potrete trovare risposta a ogni vostro dubbio. Il sito dell’Associazione Italiana Celiachia, AIC. Se però avete qualche domanda, più che altro incentrata sulla nostra esperienza personale, scrivetemi pure.

mercoledì 20 gennaio 2016

Listography #39 - #40

20 gennaio 0 Comments


Your favourite magazines.
Listography #39: Le mie riviste preferite.

E va bene! Lo ammetto. Quando ero alle medie compravo sempre Cioè e TV Sorrisi e Canzoni! Contenti!? Ohhhh, ora che l’ho detto passiamo alle cose serie. 

Le mie riviste preferite, sia cartacee che on line (soprattutto on line), sono quelle che parlano di scienza, tecnologia, fotografia, videogiochi e viaggi.

Eccone alcune, tanto per fare qualche esempio:

· National Geographic
· Le scienze
· Focus
· Touring
· Geo
· Meridiani
· Fotografare
· Hardware Upgrade
· Tom’s Hardware
· PC Professionale
· Wired
· PC Gamer
· The Games Machine

Visto che questo Listography però è cortissimo, unirò anche il numero 40, tiè!


The best gifts you've ever received.
Listography #40: I regali più belli che hai ricevuto.

Ecco, questo è un Listography interessante, sul quale ho dovuto ragionare parecchio perché per me i regali sono importanti non tanto per l’oggetto in sé, quanto per il significato che si nasconde dietro di esso.

- A proposito di significato, senza dubbio il regalo più bello che abbia mai ricevuto e che credo resterà imbattibile a vita, è una stella (vera). Me l’ha regalata diversi anni fa mio marito, per un compleanno. Non dimenticherò mai il momento nel quale scartai quel pacchetto così strano e sottile e il mio stupore quando realizzai di cosa si trattasse. 


- Il secondo regalo più bello me lo ha fatto inconsapevolmente la mia amata Helsinki quando, durante il mio primissimo viaggio in una Finlandia ghiacciata, mi attirò verso quella panchina sul molo. Non so quanti di voi guardino The Big Bang Theory, ma quella panchina per me è come il posto sul divano per Sheldon Cooper. Quella panchina è il mio posto. 

“In un universo in continuo divenire quello è un punto di coerenza unico. 
Se la mia vita fosse esprimibile per mezzo di una funzione in un sistema di riferimento cartesiano quadridimensionale, 
quel posto, 
dal primo istante in cui mi ci sono seduto, 
sarebbe lo 0,0,0,0.”


Le persone che mi conoscono bene, se un giorno dovessi misteriosamente scomparire, non chiamerebbero nemmeno Chi l’ha visto? Questo perché saprebbero perfettamente dove trovarmi: seduta lì.



- Molti di voi sapranno che colleziono fari marittimi, quindi, fra i regali più belli che ho ricevuto, ci metto anche tutti i fari che nel corso degli anni mi sono stati regalati da svariate persone, ma in particolare ne cito uno, donatomi dalla mia migliore amica, sul quale ha fatto dipingere a mano il mio nome insieme a quello di mio marito e dei nostri due bambini pelosi; la mia famiglia.

-La stessa amica, in un’altra occasione, mi ha regalato una bella cornice con all’interno una mia fotografia mentre sorrido felice tutta intenta a indicare col braccio la mia panchina sul molo di Helsinki. Uno di quei regali che inumidisce gli occhi di commozione.

- Sempre lei, che come avrete capito è un drago nel fare il regalo perfetto, mi ha regalato una splendida teiera in ceramica con dipinti a mano i nostri bimbi pelosetti. Bellissima.

- Ah, e un ciondolo Pandora a forma di faro, decisamente meraviglioso. 

- Ormai molti anni fa un amico di vecchissima data mi regalò un maglioncino grigio a collo alto abbastanza anonimo. Carino, ma molto semplice e per niente appariscente. Beh, penso sia uno dei capi d’abbigliamento del mio armadio che ho usato più spesso. Se dovessi trovare un aggettivo per quel maglioncino direi “accogliente”. E’ uno di quei regali ai quali ti affezioni col tempo. Quando lo scartai, pensai “Carino!”, ma senza troppi sentimentalismi; ora invece gli voglio proprio bene.

- Rimanendo in tema abbigliamento, ma passando dagli amici alle ex storie d'amore, ricordo con piacere due regali in particolare. Uno è una Kefiah, il tipico copricapo mediorietale, usato da noi occidentali come sciarpa e molto in voga fra gli adolescenti negli anni '90. Il ragazzo in questione me la prestò una sera d'inverno nella quale avevo molto freddo. Feci un apprezzamento sul fatto che sopra c'era il suo profumo così buono e lui allora, molto dolcemente, mi disse: "Tienila tu, così potrò essere con te anche nell'assenza". Sono passati vent'anni, ma ce l'ho ancora. 

- Il secondo regalo che ho nel cuore, fatto da un ex fiamma, fu invece una margherita che sorride disegnata col Paint. Non aggiungerò altro, perché non c'è altro da aggiungere.  

- Esattamente quando mi serviva, ho ricevuto una proposta editoriale proprio in quel momento lì. E io alle coincidenze non ci credo. Il libricino che ho pubblicato insieme ad altri autori, resta uno dei “regali” più importanti io abbia mai ricevuto dal destino.

- Mia suocera, invece molto più prosaica, un giorno mi ha regalato una cosina davvero divertente: il voodoo da ufficio. Beh, non ci crederete, ma ha funzionato! Ho corso il rischio di tornare alla mia vecchia mansione, ma alla fine la cosa non è andata in porto. : )


- Molti anni fa, più o meno nel 2007, un medico di Piacenza con il quale entrai casualmente in confidenza e col quale scambiai una fitta anche se breve corrispondenza, mi spedì un pacchettino inaspettato, con al suo interno il film in dvd Ogni cosa è illuminata, tratto dal libro di J. Safran Foer. Inutile spiegare altro. 


Quel medico, strepitoso esemplare di essere umano, è una di quelle rarissime persone dall’anima lieve, dalla profonda spiritualità, con un’immensa cultura che va dai giambi alla metrica dei poeti elegiaci o da Ipponatte a Spoon River o dal 6° canto del Paradiso alla scienza. Un cervello col quale potrei parlare per giorni e giorni ininterrottamente, senza stancarmi mai. Una di quelle persone alle quali infilerei una chiavetta usb nell’orecchio, per fare il download e salvare tutta quella meravigliosa materia grigia, così che non possa andar perduta. Come si fa a non ammirare un medico che ti dice: 

“Il mio problema più grande è quello di saper aiutare il paziente nel periodo terminale della sua vita: non voglio assolutamente che soffra e non voglio nessun tipo di accanimento terapeutico, cerco di fare in modo che nella maniera più tranquilla e serena si addormenti.

Ma le assicuro che non è facile combattere con parenti che vogliono il prete e rifiutano la morfina o con medici che in nome della Bioetica o di una strana fede pensano che le sofferenze servano a purgare i peccati o che fino all'ultimo si debba essere svegli per poter chiedere perdono a Dio... ma come può essere tanto sadico Dio? Io penso, se c'è, che sia un Dio d'amore e che non voglia che i suoi uomini soffrano.

Ad ogni modo siamo un esperimento mal riuscito.” 

- Un altro regalo meraviglioso è stato la collana Come un Epigramma, dell’artista Imelde Corelli Grappadelli, regalatami da mia suocera per festeggiare l’uscita del mio libricino di poesie Impronte. Gioiello fatto a mano e unico al mondo, al quale ho dedicato persino un post. Chi se lo fosse perso, faccia un saltino qua


- Arrivando, in ordine cronologico, alle ultime festività, non posso non menzionare l’iWatch regalatomi dal mio folle marito e i due bellissimi pupazzi fatti a mano da Astra di Demodex Posi e Nega, i due gattini alieni di Yu, protagonista del mio Anime preferito dell’infanzia Creamy Mami, che in italiano divenne L’Incantevole Creamy.

Ne ho sicuramente dimenticati altri e mi dispiace, perché per me ogni regalo è speciale: è un ricordo che IO decido di legare a quella persona, anche se magari quella persona mi ha regalato qualcosa tanto per non arrivare a mani vuote. A volte capita, no? 

Io amo però quei regali che si fanno “perché sì. Perché l’ho visto e ti ho pensata”. E quelli sono bellissimi, perché lì un pensiero c’è sul serio e l’oggetto materiale passa in secondo piano. Oppure ecco, quei regali del tipo “tieni, voglio che questo lo abbia tu”. Wow! Quelli sì che sono regali che mi riempiono d'orgoglio e mi rendono onorata di un’amicizia. E’ una prova di affetto e fiducia senza pari. Io sono legata tremendamente a un oggetto, ma voglio che lo tenga tu. Che diventi tuo, che tu lo custodisca per me, per sempre. 

Cosa c’è di più bello nel ricevere qualcosa che per qualcun altro è così importante?

giovedì 14 gennaio 2016

127.0.0.Cancún, Quintana Roo - Messico

14 gennaio 0 Comments

Cancún, Quintana Roo, Stati Uniti Messicani
22 Aprile 2007

Il nostro viaggio volge ormai al termine; domani abbiamo il primo volo di ritorno che ci riporterà a Città del Messico, prima tappa del nostro meraviglioso tour. Da lì prenderemo il secondo aereo per Madrid e poi il terzo per l’Italia.

Risaliti sul pullman, abbiamo lasciato alle nostre spalle Chichén Itzá e dopo altri 300 chilometri siamo entrati nello stato di Quintana Roo, precisamente nell’appariscente e carissima Cancún, a sole due ore e mezza di volo da Los Angeles.


Famosissima nell’immaginario collettivo come meta turistica dalle spiagge bianchissime, acqua cristallina, grattacieli alla Miami e movida h24, Cancún riserva anche delle sorprese. E’ vero, posso confermare la sua incredibile somiglianza con Miami, in Florida e questo, per me, è il suo aspetto negativo. Grattacieloni, centinaia di locali acchiappa turisti in stile Las Vegas, movida forse eccessiva e anche po’ kitsch, rovinano quella sua atmosfera paradisiaca da palme gigantesche, cocktail con tanto di ombrellino, magari servito in una noce di cocco, amache che dondolano su sabbia bianca, sole e acqua caraibica. 

Cancún sorge sulla penisola dello Yucatán, nel Messico meridionale, e si affaccia direttamente sul suo splendido Golfo. Conta circa 360 mila abitanti residenti, ma d’estate la popolazione aumenta vertiginosamente e affolla spiagge e locali. Cancún si può dividere in due macro aree: una nella parte continentale, dove c’è la vera e propria città, mentre l’altra è un’isola a forma di sette, unita alla terra ferma tramite due ponti, lunga ben 22 chilometri, su cui si estende la zona alberghiera.

Il suo nome significa “Nido di Serpenti” e riflette, senza volerlo, anche la sua moderna 
atmosfera fatta di sfarzi e lusso che solo in pochi possono permettersi. 


Pensate che fino al 1970 era un’isola quasi completamente deserta, conosciuta da pochissime anime (giusto un manipolo di pescatori). La sua posizione geografica, relegata nella regione più dimenticata dei Caraibi, aveva reso quella lingua di terra quasi un miraggio nel deserto. Non era altro che una duna a forma di sette, con alcuni tratti larghi solo venti metri, separata dalla terra ferma da due stretti canali che collegavano il mare in una serie di lagune. Immaginatevi le sue rive completamente ricoperte da una fittissima vegetazione di mangrovie che nascondevano spiagge inesplorate e laghi dall’acqua bassissima più simili a larghe pozze infestate da serpenti, iguane, uccelli e pesci colorati. 

Cancún nasce quindi come isola paradisiaca, vergine e selvaggia per divenire un progetto turistico colossale. Dal 1970 a oggi, questa meraviglia della Natura è diventata una vera e propria città tentacolare. Fortunatamente al suo interno conserva ancora le testimonianze del passaggio Maya, sia nella zona alberghiera, dove si possono ammirare le Rovine di El Rey, sia sulla terraferma dove ci sono quelle di El Meco.  


Cancún ha un aspetto particolarissimo e riflette completamente il suo lato consumistico, i suoi natali e la traduzione del suo nome. Sulla stretta e lunghissima isola sabbiosa che un tempo ospitava la foresta di mangrovie, enormi hotel extra lusso lambiscono le acque cristalline che sfoggiano una quantità impressionante di piscine, bar, ristoranti, SPA, palestre, discoteche, terrazze e gazebi altamente chic per la clientela d’elite. 

Poi ci si sposta verso il centro città, dove i quartieri residenziali ospitano la media borghesia e dove probabilmente vivono proprietari alberghieri o dirigenti d’azienda. 

Spostandosi ancora verso l’entroterra, s’incontra invece una gigantesca periferia particolarmente degradata, con tanto di capanne a prendere il posto delle case in mattoni ed è qui che in maggioranza vivono i camerieri dei ristoranti e il personale degli alberghi. 

In ogni modo, che la si ami o la si odi, Cancún è una città con un’identità definita, quattro università, tesori culturali inestimabili e bellezze naturali sia dal punto di vista della flora che della fauna. Impossibile rimanere delusi se si è amanti della natura, dello sport, delle immersioni, della movida, della gastronomia, del relax e del mare.

Personalmente ho amato l’aspetto “hi tech”, quanto meno della zona alberghiera e in parte del centro città, ovviamente quello naturalistico (il mare è la fine del mondo!) e quello gastronomico (si mangia benissimo); in compenso non ho affatto amato il sapore posticcio che solo un luogo creato ad hoc per turisti con i soldi, può avere. La mia sensazione è stata quella di entrare in un gigantesco parco giochi e non in una vera e propria località messicana. 


Oserei quasi dire che Cancún non è il Messico e non lo rappresenta minimamente. Anzi, se c’è qualcosa che Cancún rappresenta veramente è l’America. Lo stile di vita, lo spirito, il design architettonico, le star che spesso si vedono rappresentate nelle strade o fuori dai locali, sono tutta una gigantesca “americanata”. Pensate solo che alcune zone del centro si chiamano Portofino, Palermo, Saint Tropez, Nizza, California… oppure che fra i vari alberghi dai nomi molto “Zio Sam”, c’è persino l’Hard Rock Hotel.



Resta comunque innegabile il suo fascino libertino, dove è facile pensare di poter fare tutto quel che si vuole (tipico dell’America infatti, e non certo del Messico), e i suoi meravigliosi colori naturali: il Mar dei Caraibi che sfuma dal vetro al blu scuro passando per tutta una serie di azzurre tonalità, il cielo che diventa rosa durante l’alba e rosso fuoco al tramonto, il bianco accecante della sabbia, il verde della vegetazione, i colori dei fiori e delle luci della città. Insomma, odiarla completamente è impossibile, ma amarla almeno un po’, beh, è facilissimo.


Il nostro hotel è il Krystal Grand Punta Cancun, albergo 4 stelle di una bellezza straordinaria, facente parte, ma guarda un po’ che combinazione, del gruppo Vacation Store Miami.
Splendido, pulitissimo, perfetto. La hall mi piace in particolar modo, circolare, con questo soffitto altissimo ad attirare in su i nasi degli ospiti. Per non parlare delle immense vetrate del lounge bar che si affacciano sull’azzurro che non ha orizzonte, dove prima di cena abbiamo fatto un romanticissimo aperitivo guardando il tramonto sul mare… un momento indimenticabile. Se volete vedere qualche foto dell'hotel, fate un clic qua.


A cena -l’ultima, ahimé, perché domani come ho detto ripartiamo- siamo andati in un ristorante strepitoso sulla spiaggia, il Mocambo, dove oltre ad aver mangiato divinamente, sotto un tetto di legno e paglia, cullati dal suono delle onde a pochi metri da noi, un bravissimo sassofonista ci ha deliziato con del jazz, regalandomi anche una magistrale Take Five (il mio pezzo preferito).

Maledizione di Montezuma a parte, questo Tour non poteva finire in modo migliore.   

sabato 9 gennaio 2016

Ramen Gluten Free

09 gennaio 0 Comments

Perdonate la lunga assenza, ma queste feste mi hanno tenuta distante dal blog. 
Quest’oggi nasce una nuova etichetta dedicata al Gluten Free. Avete letto bene: ricette e prodotti senza glutine. Ahimé, mio marito si è appena scoperto celiaco e così  nella mia cucina sono cambiate molte cose. Personalmente l’ho presa come una sfida, perché cucinare mi diverte. Più che un ostacolo e un impedimento, ho visto questa cosa come un’occasione per imparare nuove cose, nuove ricette, in particolar modo etniche, così da non far mancare proprio nulla al mio meraviglioso compagno di vita. 

Premetto che non ho intenzione di spiegare alcunché sul morbo celiaco nei post di questa etichetta, anche perché in rete si trovano già migliaia di siti e blog più o meno attendibili e uno in più non farebbe differenza, però vorrei condividere con voi i piatti che piano piano imparerò a cucinare per lui. Saranno post quasi sempre dedicati alla cucina etnica, o meglio a quei piatti che normalmente in casa non si mangiano e si preferisce consumare al ristorante, vedi la cucina fusion, la greca, l’indiana, la cinese, la messicana, ecc… 

Per qualsiasi nozione inerente la celiachia, invece, vi rimando all’unico sito davvero attendibile nel quale potrete trovare risposta a ogni vostro dubbio. Il sito dell’Associazione Italiana Celiachia, AIC. Se però avete qualche domanda, più che altro incentrata sulla nostra esperienza personale, scrivetemi pure.

Ci tengo a sottolineare che non sono uno chef e che questi miei post sono dedicati a tutti coloro i quali non si sentono il Carlo Cracco denoartri e che in casa hanno un celiaco. A chi fa la spesa alla Coop e non solo nelle botteghe di primizie, a chi si arrabatta in cucina con animo divertito e non professionale. A chi guarda alla qualità, ma anche al prezzo.

Il post di oggi è dedicato a un piatto che noi amiamo moltissimo: Il Ramen.


Parliamo di un piatto antichissimo, conteso come nascita dalla Cina e dal Giappone. Possiamo dire che sia nato in Cina, ma che è divenuto uno dei piatti principe del Giappone, insieme al famoso sushi. Anche l’etimologia della parola ramen è oggetto di dibattito. 

Si tratta di una zuppa, più o meno brodosa, di pasta lunga, insaporita con decine e decine di ingredienti diversi a seconda del luogo in cui viene cucinata. Una ricetta precisa e tipica, insomma, non c’è. Il ramen è quindi un concetto, più che un piatto preciso, perché ogni regione del Giappone lo fa in modo diverso. 

Il concetto, appunto, è che si tratti di pasta lunga immersa in un brodo molto saporito. Tutto qua. Poi, cosa inserire nella ricetta, è una questione puramente di gusto personale. 

Questo piatto è divenuto negli anni talmente famoso che nel 1994 venne aperto persino un museo in suo onore a Yokohama. La pasta lunga può essere di moltissimi tipi, farine e lunghezze diverse, motivo per cui non è difficile replicare il piatto eliminando il glutine. Pensate che il Ramen è considerato uno dei dieci piatti più calorici del mondo ma, fortunatamente anche in questo caso, è possibile replicarlo calando clamorosamente il numero di calorie. Si tratta di un pasto calorico perché nella versione più classica il brodo è fatto di carne, con tanto di ossa e midollo, fatto bollire addirittura per giorni così da ricavare un brodo denso, dal sapore leggermente irrancidito e altamente nutritivo, zeppo di carboidrati e proteine.



Ovviamente il Ramen casalingo, e occidentale come quello che ho fatto io, non è così calorico e pesante, però è comunque da considerare un piatto unico e non un primo. Se tra di voi c’è qualche appassionato di anime e manga giapponesi, potrà confermare di aver visto decine di ciotole di ramen consumate o cucinate con gusto da personaggi come Zenigata, Naruto e moltissimi altri.

Vediamo un po’ come ho realizzato il ramen senza glutine (senza olio, senza glutammato e con pochissimo sale) che ha fatto comunque felicissimo il mio maritino. Prima di tutto vi dico che ne ho fatte diverse versioni:


  • col glutine (quando eravamo ancora ignari della sua condizione); 
  • vegetariano; 
  • con carne. 
Il mio ramen vegetariano
Oggi però vi illustro ingredienti e procedimento di quello senza glutine, ma con carne, che ho fatto ieri sera, perché renderlo veg è semplicissimo. Non vi dirò i tempi di lavorazione perché ognuno di noi ha i propri e non vi dirò nemmeno le dosi, per lo stesso identico motivo. Idem per i condimenti. E’ chiaro che ognuno di voi può farlo più o meno sapido e più o meno piccante. Io mi limiterò a dirvi cosa ha fatto la sottoscritta. Mio marito, che è solito mangiare molto piccante e molto saporito, ha adorato questo piatto pur non essendo stipato di spezie e sale. Insomma, scegliete voi il grado di delicatezza del piatto, ma provate a usare come base questi consigli per un ramen veloce e low cost:


Ingredienti, tutti gluten free:
  • Spaghetti di mais e riso, Conad (circa 100 gr a porzione). Potete usare qualunque spaghetto, linguina, fettuccina, taglietella, ecc... basta che sia pasta lunga. Certo, i noodle sarebbero l'ideale, ma non sempre si trovano facilmente o anche solo senza glutine.
  • Brodo di manzo (meglio se bio e senza glutammato).
  • Spinaci freschi.
  • Funghi arrostiti sott'olio, precedentemente scolati.
  • Alga Kombu intera, precedentemente sciacquata.
  • Zenzero in polvere (va bene anche fresco).
  • Aglio.
  • Prezzemolo.
  • Porro.
  • Uova (1 a porzione).
  • Petto di pollo.

Procedimento:

Per prima cosa lavate il porro, eliminate la parte più esterna e tagliatelo a rondelle sottili. Fatelo stufare a fuoco basso con un pochino di brodo in una padella antiaderente, insieme ad aglio e prezzemolo tritati finemente. 
Nel frattempo affettate i funghi e dopo qualche minuto uniteli al porro, aggiungendo un filo di brodo. Tagliate in striscioline l’alga Kombu; se non vi piace sotto i denti, eliminatela a fine cottura. L’importante è che rilasci il suo tipico sapore. Lavate molto bene le foglie degli spinaci (io per lavare la verdura uso l’aceto bianco, molto più utile anche del bicarbonato) e quando porro e funghi sono abbastanza stufati, aggiungetele nella padella con dell’altro brodo. Stavolta copritela. Non salate e non usate olio. Non serve. Una volta pronto, prima di spegnere la fiamma, aggiungete lo zenzero in polvere e mescolate. Lasciate il tutto coperto, da una parte.

In un piccolo pentolino mettete in acqua fredda l’uovo (ce ne va uno per piatto) e appena inizia a bollire contate circa 5-6 minuti e non i canonici 7, perché l’uovo sodo deve avere il tuorlo cremoso e non solidissimo. Una volta pronto, passatelo sotto l’acqua fredda ed eliminate il guscio, poi con la lama bagnata di un coltello, tagliatelo a metà. Se usate una lama asciutta rischiate di fare un taglio impreciso. Tenetelo da parte.

Su una griglia antiaderente fate cuocere il petto di pollo a fiamma vivace, girandolo spesso e facendogli prendere un bel color ambra. Non salate e non usate olio. Una volta pronto tagliatelo a striscioline e tenetelo da parte.

Nel mentre dovrete preparare la pentola per la pasta. Un trucchetto: la pasta senza glutine ha bisogno di più acqua rispetto alla pasta normale, perché rilascia molto amido e rischia di attaccarsi. Il filo d’olio nell’acqua che bolle è una bella bufala e basterebbe saperne un pelino di fisica (o avere un minimo di buon senso) per capirlo, visto che acqua e olio non si mescoleranno mai. Evitatelo. Quando l’acqua inizia a bollire salatela, se lo fate prima, il fondo della pentola si macchierà e oltre al problema estetico, vi ritroverete a ingerire una dose più alta di Nichel. Ammettetelo: questo secondo trucchetto non lo sapevate, eh? Ok, ora buttate la pasta molto delicatamente (sempre perché sennò rischia di attaccarsi).

Ottimo, a questo punto, in una pentola a parte, fate arrivare il brodo di manzo a ebollizione.

Quando è tutto pronto, spegnete. Ora non vi resta che assemblare il vostro ramen.
In una ciotola molto profonda, possibilmente quella cinese ideata proprio per le zuppe, mettete sul fondo gli spaghetti precedentemente scolati dall’acqua di cottura.

Riempite a questo punto le ciotole col brodo fin quasi all’orlo, sommergendo la pasta.

Ora adagiate da un lato il mix di funghi, spinaci e porro e dall’altro le striscioline di pollo con accanto le due metà dell’uovo.

Et voilà.



Non sarà il Ramen perfetto che mangereste a Tokyo con tanto di Naruto tagliato a rondelle, ma vi assicuro che è saporitissimo, leggero e strepitoso. I vegetariani come me possono sostituire il brodo di manzo con quello vegetale e il pollo con altre verdure, come asparagi, zucchine tagliate a bastoncino o una fantastica pannocchia di mais tagliata a pezzettoni e fatta precedentemente rosolare in una padella con una noce di burro. Una delizia!

E’ un piatto che va servito bollente e nelle sere d’inverno è una calda coccola da consumare rigorosamente con le bacchette!

Itadakimasu!

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