giovedì 26 febbraio 2015

127.0.0.Paolo Leone - Globetrotter

26 febbraio 0 Comments

Quest’oggi ho il piacere di ospitare nel mio blog una persona che, mannaggiaallapeppetta, non sapete quanto invidio. Sto parlando del mio ex collega Paolo Leone. Chissà, magari qualcuno di voi lo ha già sentito nominare, forse leggendo il suo nome sui giornali accanto a parole quasi sconosciute come downshifting o couchsurfing. Sì, perché Paolo, suo malgrado è diventato anche famoso.

Paolo ha preso una decisione importante e coraggiosa, una decisione che tutti noi abbiamo sognato di prendere almeno una volta nella vita. Io, ad esempio, ci penso ogni santo giorno. La decisione di mollare la famosa baracca e gli altrettanto famosi burattini e andare via. Attenzione però: non sto parlando di fuggire, ma semplicemente di andare, zaino in spalla, a conoscere il resto del mondo. Viaggiare, nel vero e unico senso della parola.

Paolo Leone, o Pleone per gli amici, è nato a Termoli, in Molise, 31 anni fa. Laureato in informatica, ha vissuto e lavorato a Bologna e per un periodo siamo stati colleghi. Spesso, come tutti noi, si è ritrovato a pensare di sprecare il suo tempo vivendo una vita piatta e monotona, ma il 7 luglio dell’anno appena trascorso, proprio il giorno del suo compleanno, non si è limitato a pensarlo di nuovo: questa volta ha proprio preso una decisione irrevocabile. 

Si è detto “Girerò il mondo in autostop”.

Paolo è partito a metà settembre del 2014 realizzando il sogno di molti. Vi chiederete come ha fatto. Beh, per prima cosa ha venduto auto e moto, ha lasciato il lavoro, ha disdetto il contratto di affitto e ha racimolato qualche soldo vendendo tutte le cose superflue che non gli servivano più. Ha comprato un bello zaino, una Gopro e lo stretto necessario per mettersi in marcia. Con una tenda, un notebook e il suo pollice all’insù è partito per il suo viaggio, il suo sogno. Ubriacarsi di vita, esperienze, conoscenza, culture, usi, costumi, sapori, colori e profumi. Paolo adesso è come un enorme libro bianco pronto ad accogliere le storie delle persone che incontra, pronto ad annotare il suo personale diario di bordo dove raccoglierà ciò che ha visto, toccato, mangiato e respirato. 


Paolo, ora, E’ il viaggio stesso. 

Il tramite che porterà noi sognatori un po’ vigliacchi a visitare il mondo insieme a lui, seguendo il suo itinerario tramite svariati canali come Facebook, Instagram, Twitter, Youtube e il suo blog.

Con i suoi immancabili occhiali da sole colorati che cambia a seconda del suo umore, passa da una città all’altra in autostop e non ha nessuna intenzione di fermarsi, almeno per ora.
Per molti potrebbe sembrare una follia, qualcuno storcerà il naso dicendo che se ha abbandonato un lavoro sicuro in tempo di crisi è un pazzo o un ingenuo, ma vi assicuro, perché un pochino lo conosco, che non è nessuna delle due cose. Paolo è una persona brillante, intelligente e con la testa saldamente attaccata al collo, oltre ad essere un professionista serio nel suo campo. Questa scelta è stata ponderata, preparata a tavolino prestando la dovuta attenzione a ogni dettaglio, dai vaccini necessari, all’alimentazione, ai documenti. Paolo è un sognatore, è vero, ma con i piedi per terra. 

Pensate che ha anche stilato una lista di dieci comandamenti da seguire a tutti i costi. Eccoli qua: 

  • Durata minima del viaggio: 6 mesi. Non si torna indietro, se non per gravi accadimenti. La durata massima non è specificata.
  • Si viaggia in autostop. Si paga lo spostamento solo in casi estremi come:
    a. Traversata oceanica (se non si può tramite lavoro in barca, si va in aereo)
    b. Infortuni, condizioni di salute, emergenza
  • L’alloggio deve necessariamente essere trovato tramite amici, couchsurfing o presso ostelli (possibilmente pagati in cambio di lavoro).
  • Il cibo deve essere a km zero. Limitare il più possibile fast food e catene, a meno di pranzi offerti, fame estrema o finanze in rosso.
  • Finanze: il budget iniziale sarà dettato dalla vendita dell’auto, della moto e delle chincaglierie in casa. Quel budget potrà essere incrementato solo tramite lavori durante il viaggio o donazioni. Se finiscono i soldi si torna a casa.
  • Il blog va costantemente aggiornato, con post e con i check-in nei vari luoghi visitati.
  • Ogni buona azione va premiata: chi mi aiuterà finirà per direttissima nella pagina dei ringraziamenti.
  • Tutte le cartoline promesse (vedi la pagina apposita per capire meglio) vanno spedite.
  • Nelle foto devo avere sempre un paio di occhiali da sole in testa.
  • Sentire la mia famiglia almeno una volta a settimana.

“…capisco che prima di stare bene con gli altri e con il mondo, devo stare bene con me stesso. Ho voglia di ubriacarmi di vita, di conoscere tutto e tutti. Quello che accadrà dopo non mi importa e non mi spaventa. So che il futuro mi si presenterà sotto forme diverse, sono fiducioso e allo stesso tempo ansioso. Non vedo l’ora di partire. E quindi che viaggio intorno al mondo sia, in autostop.”



Bene, sentiamo dalla viva voce di Paolo, come sta andando il suo viaggio.

Ciao, hello, salut, ¡hola!, olá e ora anche salam alikoum, Paolo! Grazie infinite di aver dedicato del tempo a questa intervista e la prima domanda che ti faccio è: in che città sei adesso, di preciso? E dove stai poggiando le chiappe in questo momento? Un divano? Un bar? Una panchina? I gradini di una cattedrale? Insomma, where are you, now?

Serena, grazie a te per esserti interessata alla mia storia :)
Ora sto seduto su una panchina del lungomare di Puerto de la Cruz, a Tenerife. Davanti a me c'è il mare (piuttosto agitato) e una distesa di sabbia nera, vulcanica. 
Non c'è il sole che speravo, ma l'inverno è mite e mi permette di rilassarmi e di godermi degli splendidi paesaggi.

Ci spieghi, con parole semplici, che cos’è il downshifting?

Per farla semplicissima: il downshifting è una filosofia di vita che si basa sulla diminuzione del carico di lavoro a favore di più tempo libero per se stessi. Quindi mettere da parte ambiziosissime carriere per tornare a fare ciò che ci fa stare davvero bene. Bisogna stare attenti a non confondere downshifting con pigrizia: lavorare meno NON significa girarsi i pollici. Semplicemente alcune ore che avrei dedicato a fare siti web di biscotti, ora le utilizzo per fare foto e viaggiare.
Questo mi rende molto più felice e soddisfatto, sicuramente più squattrinato, ma non mi importa... la felicità non si compra al mercato.

E il couchsurfing?

Letteralmente significa “navigare sul divano”  e in pratica è un sistema per mettere in contatto i viaggiatori di tutto il mondo al fine di aiutarsi a vicenda.
Chi ospita non chiede alcun compenso per il posto che offre, ma il surfer solitamente ricambia l’ospitalità in ogni modo possibile: aiuto nelle pulizie, cucina, condividendo racconti di viaggio, insegnando la propria lingua …
La cosa importante del couchsurfing è capirne lo spirito: se viaggi, hai sicuramente qualcosa da condividere con chi ti accoglie in casa. Se ospiti hai sicuramente qualcosa da imparare da chi sta viaggiando.

Nel mio piccolo, ho condiviso alcuni consigli basati sulla mia esperienza su come trovare da dormire sul mio blog :)



Da quando sei partito, qual è stato più o meno il tuo itinerario? 

Sono partito da Termoli, la mia città natale, e mi sono diretto in Svizzera, poi scendendo giù per la Francia per sbarcare in Spagna dove sono rimasto un bel po'.
Dopo la Spagna ho fatto un salto in Portogallo per poi tornare nuovamente in Spagna prima di sbarcare per la prima volta in Africa per tre lunghe settimane in Marocco. 
Ed ora eccomi qui, alle Canarie... ma il bello deve ancora venire :)
Qui c'è la lista completa delle città che ho visitato fin ora :)

Quando hai detto ad amici e parenti che saresti partito da solo in autostop per girare il mondo, qual è stata la reazione generale? Pensi ci sia stata più comprensione o condiscendenza?

La prima volta che sono tornato a casa per comunicarlo sono rimasto sorpreso dalla reazione dei miei genitori: pensavo che mi avrebbero dato del matto o comunque sarebbero rimasti un po’ “delusi”. E invece no.

Mi madre mi ha detto: “se è quello che ti fa felice, vai. Sarò felice anche io”.

Mio padre invece: “ma quindi non torni a Natale?”

Di fronte a tanta comprensione e amore non ho potuto fare altro che rimanere a bocca aperta. E ho davvero capito che avrei avuto il supporto di tutti.
Mio padre mi ha anche intagliato un “amuleto” portafortuna. L’ha fatto lui, in legno, scrivendoci sopra queste parole “Tanta fortuna e serenità dal tuo papà”. L’ho attaccato allo zaino.

E ora entrambi mi seguono e commentano su Facebook.

Per i miei amici invece è stato molto più scontata la reazione: tutti mi hanno spinto e incitato, quasi stessi realizzando qualcosa non per me, ma per tutti. E forse è davvero così :)
Una frase che mi ha fatto molto ridere è stata: "ecco, finalmente. Questa è una cosa da Paolo Leone!" :D




Ci elenchi cosa c'è in quello zaino che hai sulle spalle?

Certe volte penso sia tanta roba, ma poi mi ricordo che è tutto quello che ho al momento... La mia "casa" praticamente :)
- Computer
- Qualche medicina di emergenza (mal di pancia, punture, ...)
- Qualche vestito (non così tanti)
- Macchina fotografica, cellulare e cavetti vari
- Un tagliacapelli/barba
- Una tenda
- Un sacco a pelo
- Infradito
- Sapone di marsiglia per lavare a mano
- Taaaaante lenti a contatto giornaliere
- 3 paia di occhiali da sole
- Un quaderno per scrivere
- Un pennarello che uso per scrivere i cartelli degli autostop
- Le mie "hello card"
- Un adattatore per le prese elettriche

So che non ami fare progetti a lungo termine e che vivi molto alla giornata, ma c’è un posto dove andrai sicuramente, anche se non sai ancora quando? Una tappa, diciamo, obbligatoria?

Ce ne sono tanti in realtà... ma quello dove sicuramente andrò è l'Australia. Ho già fatto il visto (il Working Holiday) e so che sarò lì entro i primi di giugno.
E' da sempre uno dei miei sogni e presto sarò lì, non vedo l'ora.

Per il momento, fra i vari posti che hai avuto modo di visitare, quale ti ha colpito di più e perché?

Una domanda che mi hanno fatto in molti. Ma sinceramente, a oggi, la risposta è sempre la stessa: non ci sono posti che mi sono piaciuti di più o di meno. Sono tutti posti diversi, ogni città ha la sua storia e i suoi abitanti.
Proprio per questo motivo non c'è un posto che mi ha colpito di più, ma c'è solo il prossimo che mi aspetta per continuare a farmi innamorare di questo mondo inesplorato :)

Ci racconti un aneddoto, un piccolo fatto, che ti ha toccato in modo particolare?

Non è un aneddoto in particolare, ma mi piace parlare della "umanità ritrovata". Girando qui e là ho trovato tantissime persone disposte ad aiutarmi solo per il semplice piacere di farlo. Offrire una casa, un pasto, un sorriso a uno sconosciuto. Una cosa fuori dal normale? No. Ora per me è la normalità, ed è quello che mi spinge a continuare.
Al di fuori della vita di tutti giorni c'è la gente fuori dal normale, la gente non ordinaria. La gente straordinaria.



Come e cosa si mangia in giro per il mondo? 

Spesso (anzi sempre) mi manca la cucina italiana. E' vero che si trovano tanti ristoranti e pizzerie italiane... ma non è la stessa cosa :)
Di solito non mangio al ristorante, anche perchè spenderei troppo, ma mi affido alla mia cucina (quando sono in ostello) o a quella dei miei ospiti (in couchsurfing).
Spesso mi capita anche di mangiare al volo, facendo un po' di acquisti al supermercato.
Per questo motivo sono riuscito a trovare un compromesso tra gusto e bisogno e  in 3 mesi ho perso due taglie… La miglior dieta, no? :D

Sul mio blog ho anche scritto una lista di 10 consigli proprio sul mangiare facendo il giramondo ;)

In media quanto spendi al giorno per vivere?

Dipende ovviamente dal luogo in cui ci si trova. Però non vado oltre i 25 Euro tutto compreso. E non mi faccio mancare niente. Confrontato a una vita "normale", spendo la metà e mi diverto il doppio :)

Le volte che ho cercato di immaginare un viaggio come il tuo, quando ho tentato di mettermi nei tuoi panni, la prima emozione che mi ha colto è stata la paura della solitudine. Quella sottile sensazione di panico che arriva quando si è completamente soli in un angolo del mondo lontano e sconosciuto. Ti capita mai mentre viaggi?

Ma magari rimanessi solo! :D
Viaggiando soli, spesso capita il contrario: non si è mai soli! Tra autostop, couchsurfing, ostelli... sono sempre in compagnia di qualcuno con cui parlare e condividere avventure. Più di una volta mi è capitato di trovare compagni di viaggio con cui macinare km ;)
Da 15 giorni, inoltre, anche Arianna (la mia ragazza) ha deciso di unirsi a me, quindi ora la solitudine proprio non mi tange ;)


Affetti a parte, qual è la cosa che ti manca di più in assoluto della tua vecchia vita?

Se dico niente si offende qualcuno? :D

E’ facile immaginare gli aspetti meravigliosi del tuo viaggio, ma non è altrettanto facile immaginare quali siano gli aspetti negativi. Ce ne parli un pochino?

Beh ce ne sono un po', ovviamente. Proprio in questi giorni sto soffrendo a causa un po' di seccature: un fungo sul collo che dopo 3 settimane di cura non accenna a morire, un inizio di unghia incarnita sul piede destro e un dente che fa un po' male.
Per non parlare del pollice con un taglio di 1 cm (unghia compresa) per via di un piccolo incidente con il coltello svizzero (è proprio vero che sono maledettamente affilati...).
Diciamo che di inconvenienti ce ne sono tanti, ma fanno parte del viaggio stesso. Dico sempre che sono "felice" di avere episodi negativi, perché dopo, tutto torna più in discesa di prima e diventano solo parte del racconto, nonché di esperienza :)

Le domande che vorrei farti sono ancora mille, ma mi fermerò qua, con l'ultima della lista. Daresti due consigli a chi vuole intraprendere un viaggio come il tuo? Qual è la primissima cosa da fare e qual è quella da evitare assolutamente?

La primissima cosa da fare è chiudersi un'ora in stanza, da solo, facendo finta di essere già in viaggio. Immaginare che fuori c'è un mondo sconosciuto, una lingua sconosciuta e nessuno che conosci. Se ti senti pronto, allora spalanca la porta e inizia a fare le valigie. Non bisogna avere nessuna esitazione, perché sennò si entra nel tunnel del "ok parto non appena..."  e poi quel non appena non arriva mai.

Quella da evitare è chiedere consiglio a qualcuno: nessuno ti conosce meglio di te stesso, ma soprattutto un viaggio di questo tipo è tuo e di nessun altro. La tua scelta può piacere o no, ma sei tu che prendi la decisione, non bisogna sperare che qualcun altro possa capire il bisogno di lasciare tutto e partire.

Un abbraccio, Paolo ;)
Corriere della Sera

Chi fosse interessato a fare una piccola donazione, a sponsorizzare, a richiedere una cartolina virtuale o a contattare Paolo per qualunque motivo, può farlo dal suo blog GLOBETROTTER

Buon viaggio a tutti! 

sabato 21 febbraio 2015

U.S.S. Voyager NCC-74656

21 febbraio 0 Comments
Cari i miei Naviganti, bentrovati.

Quest’oggi vorrei rendervi partecipi di un hobby che ho appena abbracciato e che spero di continuare a svolgere nel tempo. Si tratta di una passione che ho sempre avuto, ma che per pigrizia, poco tempo e pochi soldi, non ho mai messo in atto. Stavolta, complice una voglia spropositata di distrazioni nuove “staccacervello”, mi sono decisa. 

Sto parlando del modellismo. 

Il mio primissimo progetto è la nave stellare della Federazione Unita dei Pianeti, U.S.S. Voyager, NCC-74656Classe Intrepid. La mia nave stellare preferita in assoluto. Gli appassionati e fan della stramegamaxifamosa saga di Gene Roddenberry, Star Trek, sanno perfettamente di cosa sto parlando, ma per tutti gli altri, ecco un’immagine del vascello più veloce di tutta la flotta, in grado di viaggiare fino a curvatura 9.975. 


DIARIO DEL CAPITANO – DATA ASTRALE -307859.02

Ho acquistato la U.S.S. Voyager della Revell, alla modica cifra di 25 Euro, all’Ultimo Avamposto; storico negozio di Bologna per appassionati di saghe come Doctor Who, Star Trek, Star Wars, Battlestar Galactica, ecc... 

Si tratta di un modellino in scala 1:500, lungo 514 mm e composto da 67 pezzi. All’interno della confezione sono presenti le decalcomanie da applicare sullo scafo, le istruzioni per il montaggio, alcuni suggerimenti utili per dipingerlo e ovviamente la base sul quale poggiare e ammirare il lavoro finito.


Gironzolando in rete e studiando il da farsi, prima di mettere mano al modello, ho scoperto che ci sono diverse scuole di pensiero rispetto al tipo di colori da usare per dipingerlo e persino sul momento giusto per farlo. Si parla di colori acrilici, colori smaltati o aerografo e pittura del modello prima o dopo il montaggio. Personalmente, visto che sono solita fare spesso di testa mia, ho deciso di unire le varie scuole di pensiero e di dipingere alcune parti prima e alcune dopo, diciamo così… a sentimento. 


Sui colori invece ho optato per quelli smaltati Humbrol, mentre sulla tecnica ho scelto i pennelli, con i quali mi trovo decisamente a mio agio. Insomma, i pareri sono tantissimi e districarsi non è affatto semplice per una novellina come me. Questa idea è una sfida e la voglio prendere come tale, ben consapevole del potenziale rischio di costruire una schifezza. Questi miei post potrebbero essere utili a tutti coloro intenderanno fare questa esperienza; ci tengo a sottolineare però, che non sarà una vera e propria guida, ma un personale diario di bordo.  


Ecco quindi tutto il necessario per la costruzione della mia USS Voyager:

  • Pennelli a punta piatta e a punta tonda di medie dimensioni, ma anche, e soprattutto, sottilissimi;
  • Acquaragia;
  • Carta assorbente da cucina;
  • Mollette da bucato;
  • Scotch di carta;
  • Colla da modellismo in pasta e liquida;
  • Colori a smalto;
  • Carta vetrata a grana sottile;
  • Un tronchesino per unghie;
  • Vinavil;
  • Pennarelli indelebile a punta sottilissima, nero e verde;
  • Una ciotolina d’acqua.

Come prima cosa è stato necessario trovare una location adatta al mio scopo, dove poter lavorare in pace e senza il pericolo gatti. Non avendo a disposizione un Ponte Ologrammi tutto per me dove programmare lo studio di Leonardo Da Vinci come ha fatto il Capitano Jeneway, mi sono accontentata di allestire il tavolino basso del salone con un telo da imbianchino, sopra una vecchia tovaglia antimacchia e ho sistemato la postazione di lavoro con tutto il necessario. 

Il secondo passo è stato lavare con cautela tutti i pezzi, ancora fissati all’intelaiatura, in acqua tiepida con un sapone per le mani delicato. Tutti tranne quelli trasparenti, che non dovranno essere dipinti. Il lavaggio serve per sgrassare il modellino e permettere alla vernice di aderire meglio allo scafo. Una volta sciacquati, vanno lasciati asciugare all’aria. Tempo impiegato per l'operazione, dieci minuti.


Terminata l’asciugatura, ho passato una mano di colore non diluito (ma scosso e mescolato molto bene) su tutto il modellino, senza staccarlo dai supporti, come base. Serve a rendere i colori successivi più realistici e a fissarli ancora meglio. Il colore che ho usato come base è il grigio 127 della Humbrol. Tempo impiegato per l'operazione, due ore e mezza ininterrotte.


Al momento il modellino si sta asciugando, quindi metto in pausa il mio diario di bordo. Ci rileggiamo al prossimo aggiornamento, non appena i pezzi saranno pronti per essere maneggiati.


Computer. Fine della registrazione.

sabato 14 febbraio 2015

Moebius: Empire Rising

14 febbraio 0 Comments


Per l’etichetta Frammenti Videoludici, oggi tornerò a parlare della scrittrice e sceneggiatrice Jane Jensen, che dopo la trilogia di Gabriel Knight non si è fermata e anzi, ha fondato insieme al marito Robert Holmes persino un Adventure Game Studio, una casa di produzione videoludica dedicata esclusivamente alle avventure grafiche.

Nello specifico, oggi parleremo proprio dell’erede spirituale, così lo ha chiamato la stessa Jensen, di Gabriel Knight, ovvero Malachi Rector. Che nome cazzuto, aggiungerei.

I lavori della Jensen successivi a Gabriel Knight sono passati un po’ in sordina, semplicemente perché raggiungere l’altissimo livello della saga dello Schattenjäger non era davvero un compito facile. Ha sfornato alcune avventure molto belle e godibili (vedi Gray Matter di cui vi parlerò nei prossimi post), ma GK resta un capolavoro assoluto difficilmente superabile. 

Moebius, che a mio parere si avvicina un pochino al nostro amato Gabriel, è un’avventura grafica punta e clicca uscita nell’aprile del 2014 e sviluppata da Phoenix Online Studios. La Jensen questa volta c’è andata vicino, ma ahimé non abbastanza. Nonostante ciò mi auguro con tutto il cuore che intenda proseguire in questa direzione, regalandoci un secondo capitolo e che soprattutto voglia approfondire ancora di più la sfaccettata e misteriosa personalità di questo ragazzo dal nome cazzutissimo. Se poi risolvesse anche un paio di problemini tecnico-fisico-psicologici che affliggono Malachi (fra poco ve li illustro), sarebbe fantastico. 

Pare che la Pinkerton Road stia lavorando, fra le altre cose, a un quarto episodio di Gabriel Knight, anche se la notizia non è ancora stata confermata ufficialmente. Se così fosse, cari i miei appassionati di avventure grafiche, tenete in allenamento in neuroni perché fra GK4 e Moebius 2, ci sarà di che divertirsi. 

Ma torniamo al nostro gioco.


Malachi (non sbagliate pronuncia eh, mi raccomando: è Malakay) è un giovanotto che svolge la professione di antiquario per la sua stessa galleria d’arte di Manhattan. La sua incredibile bravura nel distinguere a colpo d’occhio un falso perfetto da un originale gli ha portato grande successo nel suo lavoro e spesso viene assoldato da gente facoltosa che intende acquistare un pezzo unico per la propria collezione senza correre il rischio di farsi fregare. Questo lo porta al centro di situazioni non sempre piacevoli e anzi, spesso pericolose. Anche Malachi, come Gabriel, ha una collaboratrice, ma non svolge un ruolo fondamentale come Grace Nakimura. Almeno non per ora. 

Malachi possiede una memoria fotografica, un QI altissimo e un’attenzione per i dettagli fuori dal comune, ma queste doti sono controbilanciate da un carattere freddo e calcolatore, poco empatico o emotivo. Il suo attico è quasi asettico e minimale, mentre il suo ufficio è riccamente arredato, al solo fine di impressionare il cliente. E’ un uomo che non sorride praticamente mai, prende a regolari intervalli di tempo un farmaco che poi scopriremo essere Xanax e la sua vita privata è a dir poco inesistente, ma già dall’intro di gioco capiremo anche che questo Malachi Rector nasconde un passato strano e affascinante. Accetta incarichi, anche pericolosi, sotto lauto compenso e non ha una buona opinione della polizia o dei servizi di sicurezza. A dire il vero Malachi non ha una buona opinione praticamente di nessuno. Il suo rapporto con gli altri e in particolar modo con le donne rasenta lo zero assoluto e l’unico amico vero che si farà nel corso del gioco è un ex militare dell’esercito americano che saprà conquistare la sua fiducia e il suo affetto in modo totale.


Per caso vi ricorda qualcuno? Come dite? Sherlock Holmes!? MA DAI. Bravissimi. Vi facevo meno acuti. In particolar modo ricorda lo Sherlock della BBC con il meraviglioso Benedict Cumberbutch nella parte di Holmes. Alto, sottile, pallido, affascinante, con un QI esagerato e accompagnato dalla figura di Watson, ex miliare pronto a tutto per proteggere e aiutare il suo amico investigatore. Un’altra somiglianza di tipo cinematografico con questa serie è la comparsa a “pop up” dei dettagli che nota Malachi quando osserva qualcosa o qualcuno. Grazie a una nuvola di parole che si muove sullo schermo, possiamo leggere i ragionamenti logici e le deduzioni che sta facendo il nostro eroe. Bellissima trovata, è vero. Peccato non sia interattiva come speravo.

Beh, la nostra Jensen, dopo aver partorito un personaggio originale, memorabile e scanzonato come Gabriel Knight ha evidentemente esaurito la fantasia per quanto riguarda i protagonisti maschili delle sue storie. Per carità, come tutti voi sapete, io amo alla follia il personaggio di Sherlock Holmes e darei via il mio rene destro perché fosse reale, ma Jane… andiamo. Dovevi proprio copiare TUTTO? E poi scusami sai, ma di Sherlock Holmes ce n’è uno solo, dovresti ben saperlo.

Insomma, il nostro Sher… ahem, Malachi, durante una trasferta di lavoro in Egitto, salva la vita a un uomo, tale David Walker, ex miliare biondo e muscoloso in viaggio di piacere che viene aggredito in un vicolo, apparentemente senza un motivo, da alcuni misteriosi uomini vestiti di nero in stile ninja. I due col tempo diventeranno amici e Malachi lo prenderà come guardia del corpo. Tornati a Manhattan, l’antiquario viene contattato da un’organizzazione governativa segreta che vorrebbe assumerlo per un compito quanto mai curioso. Investigare sull’omicidio di una donna avvenuto a Venezia, in Italia. 


Da questo punto, ovviamente, la storia si complica e si infittisce: chi sono gli uomini che hanno aggredito David e perché? Perché un antiquario viene assunto per investigare su un omicidio accaduto all’estero? Chi fa parte di questa organizzazione governativa? Perché l’amicizia con l’ex militare sembra risvegliare in Malachi ricordi sopiti di una qualche vita passata? Cosa c’entra in tutto questo la presenza del nastro di Möbius e di personaggi storici come Maria Antonietta o Lucrezia Borgia?


Vi racconterei di più, ma non voglio rischiare di spoilerare questa trama un po’ Dan Brown che personalmente ho trovato molto bella, anche se difettata in svariati punti. L’idea che c’è alla base della storyline, il pretesto insomma, è buono e affascinante anche se non molto originale, ma la Jensen e la sua squadra hanno toppato in alcune cosette tutto sommato perdonabili. Vediamole insieme…

Malachi viene descritto, anche se non esplicitamente, come un tipo non solo affascinante caratterialmente (e secondo me dovevano caratterizzarlo meglio in tal senso, approfondendo di più il suo passato), ma anche molto avvenente fisicamente e questo, lasciatemelo dire, non si evince granché. La leggera “gobba” che lo affligge e lo fa camminare come un lontano parente di Igor non aiuta affatto e il colorito non proprio salubre nemmeno. Forse troppo magro, soprattutto paragonato al muscoloso David Walker, fa la figura del malaticcio. I giunti di spalle, gomiti, ginocchia e bacino dei modelli 3D sono carenti di fluidità e il risultato è un movimento legnoso decisamente poco atletico. Insomma, non fosse per i capelli scuri e l’assenza di rughe, sembrerebbe un vecchietto con l’artrosi in compagnia di un modello di Kalvin Klain che sfila in passerella come un tronco. 


Fastidiose anche le animazioni lente di Malachi quando cambia scenario. Per fortuna hanno lasciato la possibilità di attivare l’effetto “teletrasporto” con un doppio click del mouse. A seconda di come deve svolgersi la scena, però, non sempre sarà consentito.

Detto questo, dopo un po’ ci si fa l’occhio e il tutto passa in secondo piano, anche perché l’ambientazione attorno ai personaggi è davvero ben fatta. L’interfaccia è proprio carina nei suoi toni freddi e molto sci-fi e l’idea di fondo, come ho detto, funziona e ha un discreto fascino.


Certamente non tutti conoscono la figura topologica del Nastro di Moebius, ma vi basti sapere che è alla base di una teoria molto affascinante. Se percorrete con un segno di matita il Nastro in tutta la sua lunghezza, vedrete che a un certo punto vi ritroverete nello stesso identico punto dove avete iniziato. Questo, per usare una banalità, potrebbe significare che tutto quanto, nella vita, si basi su cicli sempre uguali; potrebbe significare che la reincarnazione esiste, oppure che alcuni nascituri siano destinati a ripercorrere le gesta compiute da altri nel passato, anche a distanza di molto, molto tempo. Del resto, dopo un periodo di crisi c’è sempre un periodo di risorgimento, dopo una guerra c’è sempre la pace e così via. Cicli che possono venir ripercorsi anche nelle azioni di un singolo uomo. Potrebbe esistere qualcuno che, senza nemmeno saperlo, compie un percorso di vita identico a Napoleone. O a Giulio Cesare e Leonardo Da Vinci. Immaginate le implicazioni di una scoperta di questa portata. Poter individuare in anticipo che quella determinata persona è predestinata a cambiare il futuro di uno Stato, di una corrente politica, della scienza o dell’intera umanità.


Il nostro protagonista è in grado di riconoscere questi schemi ricorrenti per un motivo ben preciso che, ovviamente, non vi dirò. Talento, questo, che farà gola a parecchi in diverse sfere governative intenzionate a mettere le mani su personalità che un giorno, in futuro, saranno di spicco in tutto il mondo detenendo fra le mani poteri politici enormi. Malachi accetta questa situazione ai limiti dell’incredibile e questo suo talento fin troppo bene e questa, secondo me, è la prima pecca del gioco. Per una persona intelligente come lui, con un QI così alto, dovrebbe essere difficile credere e accettare una spiegazione così poco scientifica eppure per lui, dopo un primo momento di incredulità, diventa “normale”. Nemmeno Gabriel ci ha messo così poco per capire e accettare il suo ruolo di Schattenjäger. Figuriamoci una copia di Sherlock Holmes.
Questa incoerenza rende la figura di Malachi troppo sottile e fredda. Avrei preferito un eroe incredulo e pieno di dubbi e domande che lo tormentano di fronte a questa psuedoscienza e perché no, qualche comportamento scorretto causato dal suo microscopico lato emotivo, che da qualche parte deve pur essere; avrebbe certamente reso il protagonista di spessore, con un’umanità paragonabile alla nostra, alla quale affezionarsi. E invece no. Confido in Moebius 2, per questo.


Lo svolgimento degli enigmi e delle deduzioni è fin troppo guidato e anche in questo caso avrei preferito avere più libertà d’azione e quindi una possibilità in più di sbagliare bellamente. Mettiamola così: non c’è bisogno di essere Sherlock per fare le deduzioni di Malachi o arrivare a fare lo stesso tipo di ragionamento. Ampliando il ventaglio di possibilità sarebbe stato più facile sbagliare, ma anche divertirsi di più spremendo le meningi. Impersonare una figura con il QI di Sherlock Holmes DEVE essere un’impresa difficile, per il giocatore. Non può certo essere una passeggiata, altrimenti l’impalcatura della credibilità diventa instabile.

Sembra che stia elencando soltanto i difetti, me ne rendo conto, ma vi assicuro che Moebius è un gran bel gioco, soprattutto se paragonato a tante avventure che si trovano in giro al momento e l’impronta letteraria della Jensen, la sua estrema precisione sui contenuti storici, la sua grande affidabilità per quanto riguarda dialoghi e trama è palpabile durante tutta la durata del gioco. 

Però vorrei concludere la lista dei difetti, parlandovi di quello che mi ha fatto più incazzare in assoluto. Passi che i giunti nodali delle animazioni 3D siano artrosici, passi che Malachi, che dovrebbe essere un sex symbol alla Fox Mulder in X-Files, abbia la gobba e sembri anemico, passi che il protagonista sia caratterialmente un copia e incolla di Sherlock Holmes, ma:
…che io debba prendere un volo per andare a interrogare una tipa (-- >) e che dopo la chiacchierata io debba prendere un altro volo per tornare a casa, (< --) con il solo scopo di comprare una bottiglia di whiskey (limando pure sul prezzo anche se sono ricco) da portare alla suddetta tipa, (-- >) che mi sta aspettando sul divano, dato che le ho detto “Torno subito, aspettami qua”, NO EH.
NO, mi rifiuto. Vi siete bevuti il cervello!? C’è qualcuno nello staff della Jensen che si è accorto di quanto questa scena sia idiota, ridicola e grottesca!? Come si può pensare di prendere un volo andata e ritorno solo per andare a comprare una bottiglia di whiskey?!? Dove abita questa tizia!? Nel Quadrante Delta!?
Ahem. Perdonate lo sfogo. Riprendo il controllo e mi avvio verso la conclusione di questa mia recensione.


Un plauso alla scelta di raccogliere gli oggetti solo quando se ne ha veramente bisogno, quanto meno si evita di riempire l’inventario con cumuli di cianfrusaglie da usare chissà quando.

Inizialmente il gioco sembra, e sottolineo sembra, strutturato non più a capitoli o giorni come la saga di Gabriel Knight, ma a “singoli casi”, il che mi ha fatto sperare inutilmente in possibili future espansioni o in una struttura simile a una serie TV poliziesca, dove c’è un caso nuovo da risolvere in ogni puntata, ma anche una trama portante che si srotola piano piano col proseguire della serie (Vedi X-Files). Purtroppo si tratta solo un’impressione che ha il giocatore nelle prime ore di gameplay, perché parliamo di un gioco unico, con un’unica trama, che dura in totale una quindicina di ore, suddivise in sette capitoli.

Ho apprezzato MOLTISSIMO una sfaccettatura abbastanza nuova e coraggiosa di questa avventura; l’evidentissima relazione sentimentale, nonché tensione sessuale che si instaura col tempo fra l’apparentemente freddo Malachi e l’aitante David Walker, personaggio a dire il vero di ben poco spessore (peccato). Questo aspetto umanizza finalmente il robotico Malachi e dona alla storia un risvolto romantico inaspettato e piacevole.


Le vicissitudini dei due protagonisti adombrano un pochino il “cattivo” della situazione e si fatica a capire chi realmente sia e in che modo stia agendo.

Sul finale ritroviamo un tema caro alla Jensens: il topo nel labirinto. Chi ha giocato a Gabriel Knight 1 (la foresta del rito voodoo), 2 (la foresta attorno al circolo di caccia e i sotterranei del teatro) e anche se in versione ridotta al 3 (le cantine di Chateau Le Serre), sa di cosa parlo. Una sequenza di schermate fisse tutte molto simili fra loro in modo da confondere a dovere il povero giocatore, dove è necessario scegliere la giusta direzione (sulle prime a istinto), qualche volta anche a tempo, fra i quattro punti cardinali. Frustrante persino nel meraviglioso capolavoro GK2 dove quel continuo “Nord e chiudi la porta”, “Sud e chiudi la porta”, “Est e lascia aperta la porta”, “Ovest esticazzi”… mi avevano fatto venir voglia di gettare il PC fuori dalla finestra.

Parlando invece del comparto audio, posso dire che come sempre è stato fatto un lavoro eccelso dal marito della Jensen, il compositore Robert Holmes e che il doppiaggio è ottimo.

Ricapitolando:

PRO: Trama piuttosto originale garantita e firmata Jane Jensen; molto divertente da giocare, graficamente piacevole, ottimo audio, doppiaggio italiano e longevità buona per un’avventura punta e clicca.

CONTRO: Personaggi rigidi e poco approfonditi caratterialmente. Un paio di fantastronzate tipo il volo andata e ritorno per comprare una bottiglia di whiskey; protagonista scopiazzato da Sherlock Holmes e qualche eco di troppo proveniente dai vecchi Gabriel Knight.

In sostanza lo consiglio assolutamente. Giocatelo perché ne vale la pena, malgrado tutto.

martedì 10 febbraio 2015

127.0.0.Imelde Corelli Grappadelli

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Sono molto emozionata e non lo nascondo. Oggi ho il piacere, ma soprattutto l’onore, di ospitare nel mio blog una famosa ed eclettica artista. Una donna di carattere, con un’immensa immaginazione e un’anima ricolma di energia e bellezza. Sto parlando della poliedrica Imelde Corelli Grappadelli, disegnatrice di gioielli, scultrice, pittrice, gemmologa, imprenditrice, storica d'arte antica e se posso dire la mia, passionale visionaria.


Imelde è una bella donna bionda, dallo sguardo brillante come le sue creazioni d’oro e pietre preziose. Gli oggetti che immagina e crea con le sue mani non sono banali gioielli, ma vere e proprie opere d'arte, oggetti assolutamente unici. Ad ogni oggetto è legata una persona, che sia una personalità forte del passato o una sua attuale cliente, Imelde plasma ogni singola opera ispirandosi a qualcuno, come ad esempio la scultura dedicata a Ginevra Sforza di Bentivoglio, che fu Signora di Bologna, donna forte, affascinante e coraggiosa come la stessa Imelde. 



Imelde Corelli Grappadelli vive e lavora sotto le due torri, ma espone con mostre personali anche nel resto d'Italia e all'estero, come alla Triennale Internazionale di Arte Contemporanea di Parigi o in Germania.

La giornalista Gaia Giorgetti, in un bell’articolo-intervista sul Resto del Carlino, nel dicembre del 2012 scrive:

Crea gioielli seguendo la tecnica degli antichi, per esempio colando l’oro nei calchi di osso di seppia, proprio come facevano gli etruschi. Archeologa delle forme, artista, artigiana, ma anche studiosa appassionata, Imelde Corelli Grappadelli pare quasi riassumere in se stessa tutti i secoli trascorsi, che lei testimonia anche con il cognome che porta. Era il 1632 quando un suo avo, della nobiltà agraria ravennate, venne decapitato da un membro della famiglia rivale, il castello di famiglia fu raso al suolo e le fondamenta cosparse di sale. Dopo pochi anni nacque Arcangelo Corelli che, come leggenda vuole, sentì suonare il violino da un pretino del paese e, da Fusignano, Lugo, Bologna, arrivò a Roma per diventare uno dei più grandi violinisti e compositori del mondo. Cresciuta nel palazzo del casato a Lugo, in una famiglia colta e numerosa, Imelde non poteva che seguire il destino di una vita di estro, studio, immaginazione. Eccola studentessa al liceo classico di Lugo, laureanda a Bologna in storia antica, con la passione per i gioielli, accesa dai racconti onirici dell’elegantissima nonna Imelde. Con le idee molto chiare in testa, chiede la tesi a Giancarlo Susini sulla tecnologia dell’oro nell’antichità. Ma non le basta sapere, lei vuole imparare a fare i gioielli...

Sentiamo cosa ci racconta Imelde in persona, in questa breve intervista.

1 - Innanzitutto ti ringrazio per il tempo che hai voluto dedicarmi e per avermi fatto l’onore di poterci dare del tu. Passiamo immediatamente alla prima domanda. Se dovessi descriverti a un pubblico che non ti conosce e non sa nulla delle tue creazioni, che parole useresti? Chi è davvero l'artista Imelde Corelli Grappadelli?

É una signora curiosa.
A volte per approfondire cose che mi incuriosiscono percorro strade che mai avrei pensato. Una sorta di Alice nel paese delle meraviglie, step by step aprendo porte chiuse che si aprono su altre porte chiuse... e il viaggio così continua.


2 - Come e quando è nato l'amore per l'arte e la creazione di gioielli?

Da bambina piccolissima, ascoltavo rapita i racconti di mia nonna Imelde che apriva il suo cofanetto e descriveva i  gioielli che il nonno le aveva donato. Ecco, è tutto molto semplice.

3 - Ho letto in una rivista che ami ascoltare Richard Wagner quando lavori. E' un personaggio storico, un compositore al quale sono legata anche io, malgrado non sia stato sempre un sant'uomo, anzi... Che cosa ti affascina della musica di Wagner e quale, delle sue opere, ti aiuta a lavorare e a concentrarti meglio?

Con Wagner ritorna in scena mia nonna e un suo racconto. Un paio di orecchini in diamanti che indossò a Milano, alla prima della Scala nel 1913 per il centenario della nascita di Wagner. Lei biondissima, occhi azzurrissimi, diamanti scintillanti alle orecchie e una camicetta di seta rossa... era in viaggio di nozze. Wagner lo amo tutto, soprattutto ascolto le overture.


4 - Le tue sculture vengono anche definite "patafisiche". Che cosa si intende esattamente per scultura patafisica?

La Patafisica è una corrente artistica che nasce a Parigi nel 1896 alla Sorbona, facoltà di Fisica. Significa “scienza delle soluzioni immaginarie”. Grandissimi artisti si riconoscono in questa corrente, come Enrico Baj o Ugo Nespolo.

5 - Abbiamo un altro "amore" in comune ed è Leonardo Da Vinci, al quale so, hai dedicato parte di una mostra. Artista, inventore, precursore dei tempi e incredibile scienziato, ha esplorato ogni lato dell'arte e della scienza. Quale aspetto di Leonardo ti ha colpita in particolar modo?

La pittura, assolutamente.

6 - Nella stessa rivista ho letto un tuo commento, che personalmente ho trovato bellissimo e che condivido in pieno. Hai detto che il tuo studio, dove fai accomodare le clienti, pieno di libri e gioielli da te creati, è come un "vagone ferroviario", perché "quando sono qui, inizia sempre un viaggio".  Ci racconti quale posto ti è rimasto nel cuore più di altri?

Vagone ferroviario con destinazione le Alpi. Adoro l'Italia e le sue Alpi. Credo che siano una delle cose più emozionanti; tutto cambia in un attimo, colori, luci, poi la vastità, il profumo dell’aria, il silenzio, lo spazio, le distanze.
     

7 - Fra i tuoi sogni e desideri c'è anche il ritorno al pezzo unico. Un abbandono quindi del modello commerciale che, ad esempio, prevede l'acquisto di quello stesso anello a Milano, New York o una contraffazione in una qualunque bancarella asiatica. La rinascita del pezzo unico, artigianale e fatto a mano, ispirato all'energia spirituale della cliente che, teoricamente, si sposa solo con quella particolare donna per la quale il gioiello è stato creato. Ovviamente questo tipo di approccio è difficile in un mondo fatto di grandi catene commerciali o importanti marchi d'oreficeria. Qual è, secondo la tua esperienza, lo scoglio più difficile da superare, per ottenere questo risultato?

Ieri sera ho visto il magnifico film Turner, che consiglio assolutamente. Ad un certo punto il pittore si approccia al dagherrotipo, precursore della macchina fotografica e domanda se riesce a fare le immagini a colori.
Credo che questo riassuma tutto, il prodotto commerciale ad alto contenuto tecnologico e di diffusione va benissimo, ma non ha nulla dell’immenso patrimonio artistico, emotivo, culturale, intuitivo che il cervello umano può esprimere. Personalmente non mi sono mai posta il problema, anche perché il mio approccio è sempre stato quello di realizzare un’opera degna di essere esposta in un museo e null´altro.


8 - Ennesima affermazione che, in quell'articolo da me letto sul tuo lavoro, mi ha colpita molto e nella quale mi rispecchio. Hai detto: "Quello che ricerco è la bellezza, la singolarità. Nulla è causale". Imelde Corelli Grappadelli quindi non crede alle coincidenze?

Coincidenze intese come cose che accadono insieme? Questo sempre , tutto può accadere.

9 - Quali sono le tecniche che usi di più quando crei gioielli e che cos'è, di preciso la granulatura?

Io mi sono laureata all’università di Bologna, alla Facoltà di Storia Antica nel 1980, discutendo una tesi dal titolo "Tecnologia dell'oro nella antichità". La granulazione é una tecnica utilizzata dai popoli antichi e in particolare etruschi e significa “saldatura di granuli submillimetrici su lamine sub millimetriche, senza saldatura”. Quindi assolutamente misteriosa. Io l’ho studiata molto e il mio lavoro è stato pubblicato dal ministero dei Beni Culturali e mostrato prima al museo civico archeologico di Bologna e poi al museo archeologico Crespellani di Bazzano.


10 - Qual è stato il primo gioiello che hai forgiato con le tue mani?

Un anellino in filo di argento con un cuoricino.

11 - La fascinazione per San Giorgio e il Drago e per la simbologia nascosta dietro l'immagine del cavaliere che con una lunga lancia attacca il rettile e salva la principessa, ti ha ispirato la creazione di un’opera. Nell'intervista dove parli di questa "scultura" però dici che il tuo drago non è molto convinto di voler combattere: perché?

Sì, sto lavorando a un grande S. Giorgio e il drago, con la collaborazione della Bottega Gatti di Faenza, ‘grande’ perché parliamo di 1,50 x 1 mt. In terracotta maiolicata, sarà magnifico. Il drago è azzurro, molto giocoso, per questo non combatte, è un drago patafisico.

12- So che hai studiato anche psicologia e ingegneria; sei un’assidua studiosa e ricercatrice, e lavori nel tuo laboratorio incessantemente. La donna di tutti i giorni che si nasconde dietro questa grande e appassionata professionista, invece com'è?

Una tennista.

13 - Fra i tuoi studi ne spicca uno che apparentemente sembra fuori contesto ed è l'astronomia.

Le stelle e gli astri sono assolutamente da studiare!

14 – Saluto Imelde, e la ringrazio nuovamente per la sua incredibile gentilezza, con un’ultima domanda: Fra tutte le tue opere, a quale sei più legata in assoluto e perché?

Il mio primo bracciale forchetta, a cui devo il mio successo.



Se siete interessati a visionare le installazioni o i gioielli di Imelde Corelli Grappadelli, fate un salto sul suo sito, sulla sua pagina Facebook Imelde Corelli Sculpture & Jewellery Design o su Instagram, e se vi siete persi il post dove parlo di lei e di un suo gioiello in particolare che mi è stato regalato, fate un clic qua




Potete trovare Imelde nel suo studio di Bologna, in via Torleone 32. 

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