mercoledì 20 febbraio 2019

Jump Force

20 febbraio 0 Comments

Rieccomi, con una nuova e fiammante recensione di Hyunkel76, ovvero mio marito. Potete leggerla sia qua, che sul sito Yessgame.it, facendo un clic qua


Jump Force: Shonen Jump festeggia i suoi 50 anni.

Solo fan service o buon picchiaduro?


Sono un anime fan da SEMPRE. 
Nonostante la mia veneranda età, ho adorato moltissime delle opere rappresentate in Jump Force. Durante la sua presentazione all’E3 non vi nascondo che il mio hype arrivò molto in alto, oltre la soglia di guardia. Nonostante questa premessa vi assicuro che rimarrò obbiettivo come sempre, perché, ahimé, i difetti di Jump Force superano i pregi, per quanto anime fan possiate essere. Partiamo subito col dire che quando affrontiamo titoli simili bisogna attivare la, come la chiamo io, “sospensione dell’incredulità potenziata”; già vedere i personaggi di Dragon Ball distruggere pianeti con un colpo fa sorridere, ma nel contesto narrativo ci sta. Vedere però Ryo Saeba, di City Hunter, suonarle a Cell può davvero sembrare ridicolo. 
Il vero anime fan si fa intimidire da queste sciocchezze?
Certo che no.



Jump Force è un titolo picchiaduro con grafica 3D, mosso dal Unreal Engine. La scelta stilistica, a differenza di produzioni passate, ha cercato di dare “realismo” ai modelli dei personaggi, rendendoli forse meno aderenti alle loro controparti cartacee, ma meglio inseriti nelle arene tridimensionali.
L’azzardo non è del tutto riuscito, ma ne parleremo in seguito.
Per l’anniversario dei 50 anni della rivista Weekly Shonen Jump si è scelto di inserire nel roster un maggior numero di rappresentanti delle 3 serie maggiori (a livello commerciale s’intende): Dragon Ball, Naruto e One Piece. 
Solo per queste 3 serie abbiamo 17 personaggi dei 40 presenti, a ruota seguono Bleach e Hunter X Hunter con 4 esponenti ciascuno.
Storceranno il naso in molti nel vedere che per My Hero Accademia è stato preso in considerazione solo Deku, o peggio Saint Seiya vede presenti solo Seiya e Shiryu.
Per JoJo sono pervenuti solo Dio Brando e Jotaro mentre per Ken il Guerriero… beh solo Kenshiro.
Parliamoci chiaro, 40 personaggi, che con i DLC diventeranno 49, non sono pochi ma alcune scelte nei roster dei manga più rappresentati stonano: Hancock è sempre uno “scosciato” piacere da guardare, Sabo è fortissimo per carità, ma si potevano certamente evitare per dare spazio ad altri, ben più iconici, personaggi di altre produzioni.
Evidentemente il roster è stato scelto più pensando ai risvolti commerciali che non al fan service vero e proprio.

Ma veniamo al dunque.



Il gioco si apre durante una scena dove vediamo Freezer alle prese con la sua attività preferita: vaporizzare quello che lo circonda.
Il nostro alter ego digitale incappa in una “carezza” del suddetto, finendo esanime al tappeto.
Solo il provvidenziale aiuto di Trunks ci salva da morte sicura e, grazie al potere di un “cubo Umbras”, ci trasforma in un eroe pronto a prendere a calci i cattivi.
Immediatamente ci si presenta la schermata di creazione dell’avatar, dove non solo dovremo scegliere l’aspetto fisico, ma anche lo stile di combattimento che ci accompagnerà fino alla fine della storia.
La scelta può ricadere fra 3 stili aderenti a ciascuna delle produzioni maggiori: Naruto, Dragon Ball e One Piece.
Questa scelta riguarda la parte relativa al comparto mosse standard del personaggio, che durante il gioco non si potranno più cambiare, e le mosse speciali iniziali che col progredire del gioco potremo invece sostituire con quelle acquistate o guadagnate.
Tutto lo sviluppo della storia si baserà sul completamento delle missioni che via via ci verranno assegnate.
Oltre alle missioni della main quest, utili anche ad ampliare il roster iniziale, potremo prendere parte a side missions, di difficoltà crescente, che andranno a sbloccare altri eventi, premiandoci con collezionabili, oggetti di combattimento o “sfere” di esperienza con le quali potenziare le nostre abilità.
Il nostro personaggio accumulerà esperienza dopo ogni scontro, aumentando le sue caratteristiche di attacco e salute.
La crescita delle abilità invece avviene attraverso il potenziamento di due rami distinti di tratti, le J skill e le Ability skill.
Le prime sono tratti (all’inizio del gioco massimo 3) che daranno vantaggi al vostro intero team, le seconde invece si occuperanno di aumentare l’efficacia delle 4 mosse speciali che avrete a disposizione.
Sia J skill che Ability skill livelleranno previo la spesa di monete e “sfere“ di esperienza, che otterrete come ricompense di determinati eventi.
Oltre al proprio avatar si possono migliorare anche tutti gli altri personaggi del roster, tramite l’upgrade delle abilità supporto, specifiche per ogni eroe.
Purtroppo già dalle prime sessioni si capisce che, per livellare al massimo il nostro team, il grinding sarà selvaggio, costringendoci a ripetere ossessivamente le missioni secondarie che forniscono più sfere.



Giungiamo quindi alla portata principale: il combat system.
Jump Force ci propone scontri di squadre formate da 3 personaggi ciascuna.
Paradossalmente, diversamente da quello che ci si poteva aspettare, siamo di fatto davanti ad uno scontro 1vs1.
Nonostante i due membri nelle retrovie possano intervenire nello scontro, con mosse di supporto o prendendo il posto del personaggio in gioco, la barra della salute, così come tutti gli altri indicatori, sono condivisi.
Di conseguenza lo scontro finirà quando la barra della salute condivisa di una delle due squadre sarà esaurita.
La scelta, probabilmente, è da imputare alla voglia di rendere i combattimenti più rapidi, ma a mio giudizio non fa altro che rendere meno strategici, e quindi ancor meno profondi, gli scontri.
Avremo a disposizione 2 tipi di attacchi base, leggeri e pesanti, un tasto per la parata, uno per i movimenti rapidi e uno per accumulare l’aura (tasto che useremo in combinazione con altri 4 per attivare le 3 mosse speciali e la Ultimate).
All’aumentare dei danni subiti l’indicatore della modalità risveglio aumenterà, e una volta raggiunta una determinata soglia potremo attivare il risveglio (modalità che ci fa infliggere maggior danno per un breve periodo di tempo) dandoci accesso alla Ultimate del nostro personaggio.
Senza dubbio il lato coreografico degli scontri è ciò su cui il team di sviluppo si è concentrato maggiormente, con effetti a go go e fan service a tutto andare.
C’è un però...
Alla ricerca della semplicità di gioco, forse per attirare un maggior numero di utenti non avvezzi all’ambiente competitivo, la direzione presa dal combat system verso la semplicità assoluta ha come contraltare la ripetitività.
Tutti gli eroi hanno a disposizione una streak di combo basate sui colpi deboli e una su quelli forti, che pur potendo variare nel numero di colpi, in base al personaggio, restano tutte drammaticamente simili nell’effetto.
L’unica variabile sono le mosse speciali, diverse per ogni personaggio, e configurabili a piacere per il nostro alter ego.
Alcune sono più adatte al combattimento a distanza, altre a quelle ravvicinate, altre ancora ad effettuare contrattacchi.
La palese semplificazione del combat system porta a uno sbilanciamento effettivo dei personaggi.



Alcuni sono palesemente più forti di altri, un esempio su tutti è il buon Goku che, oltre a possedere una delle poche mosse speciali che attraversano l’intera arena, una volta risvegliato, e ottenuto lo stato di Super Sayan, si teletrasporta alle spalle dell’avversario quando lancia la Kamehameha.
Aggiungiamo il fatto che tramite il Kaioken azzera la distanza fra lui e il suo avversario in un attimo, e che ha pure una counter, il gioco è fatto: lo mettete in arena contro un personaggio come JoJo, votato al combattimento ravvicinato, e si può procedere al massacro.
Dimenticavo che la sua Ultimate occupa metà arena, e si può praticamente solo parare.Inoltre alcuni personaggi dopo il risveglio restano trasformati per tutta la durata dello scontro, diventando più forti, mentre altri finito il timer del risveglio tornano normali.
Graficamente poi il titolo mostra il fianco sotto diversi aspetti.
Il framerate non è sempre granitico e la scelta stilistica adottata, simil realismo al posto del cel shading, dà un tono troppo “plasticoso” e fa assomigliare alcuni personaggi più a delle bambole.
Molte delle animazioni dei movimenti base sono più che lacunose.
Le animazioni facciali sono sempre impastate e nemmeno il labiale giapponese, su cui sono tarate, riesce a stare al passo.
Le Arene sono state realizzate con un occhio di riguardo in più rispetto agli altri elementi, mentre la base Umbras, il nostro hub di gioco, risulta davvero imbarazzante: sciapa, inutilmente grande e dispersiva, è mal realizzata in ogni suo aspetto.



Durante gli scontri capita sovente che gli effetti esagerati delle mosse speciali impediscano di capire dove si trova l’avversario, anche all’occhio più attento.
Tutte le cutscene sono a dir poco imbarazzanti, noiose e inutilmente lunghe.
Grosso problema della main quest è anche l’intelligenza artificiale: comprate come abilità la Kamehameha o il Rasen Shuriken, portatevi in fondo all’arena e durante gli scontri spammate come pazzi… in poco più di 10 ore avrete finito il gioco.
Fortunatamente la parte online riserva qualche soddisfazione in più, visto che un avversario umano non starà lì a prendersi una vagonata di speciali sul grugno senza reagire.
Vorrei dirvi che almeno la storia è avvincente e infatti… è una tragedia sotto tutti i fronti.
Molto probabilmente ciascuno di voi nella propria vita ha provato a buttare giù una storia di fantasia, giusto?
Bene, vi do fiducia, avrete senz’altro scritto qualcosa di meglio e di più avvincente.
Il comparto sonoro è altalenante, e laddove raggiunge il suo scopo grazie ai doppiatori originali, come sempre all’altezza delle aspettative, risulta mediocre come musiche e monotono come numero complessivo di effetti.
Da segnalare il fatto che, pur essendo i dialoghi fra i personaggi quasi del tutto testuali, il nostro personaggio non parla mai, se non quando nomina le tecniche durante i combattimenti. Davvero buffo vedere il nostro personaggio gridare “Kamehameha” (all’inizio del gioco ci viene chiesto di scegliere anche il tipo di voce) per poi non proferire verbo, neanche in formato testo, durante le cutscene con gli altri protagonisti.

E’ allora tutto da buttare Jump Force?

No, almeno non del tutto. 
Certamente il combat system semplice, le super mosse coreografiche e ben realizzate, e il gioco online possono permettere a questo titolo di acchiappare parecchi fan di tutte le età, ma il gioco va valutato per quello che è: un picchiaduro tecnicamente realizzato in modo superficiale, monotono in single player, che ha poco di innovativo da offrire.
Se siete degli ultra fan, come me, potrete aggiungere al giudizio finale mezzo punto, ma comunque allo stato attuale Jump Force non giustifica l’esborso richiesto per l’acquisto.

sabato 16 febbraio 2019

Crackdown 3

16 febbraio 0 Comments

Bentornati, cari Naviganti! Rieccomi qua con una nuova e fiammante recensione di mio marito, che potete leggere qui o direttamente sul portale Yessgame.it :)

Analizziamo la modalità single player di Crackdown 3

Il nuovo episodio di Crackdown ha avuto una gestazione particolarmente travagliata.
Dopo una tech demo in pompa magna, dedicata al multiplayer, che prometteva meraviglie grazie al cloud computing, nell’ormai lontano 2015, il gioco fu poi rimandato più volte fino alla data odierna.
Molte erano le promesse da mantenere e molte le aspettative; ora non ci resta che verificare i fatti.
La trama parte raccontandoci di un attacco terroristico che ha scosso il mondo.
L’Agenzia si mette subito all’opera e manda i suoi agenti verso la città di New Providence dove ha il suo quartier generale l’organizzazione Terra Nova, ritenuta responsabile dell’attacco.
Dopo un’introduzione piuttosto sopra le righe, in pieno stile “sergente Hartman”, ci ritroveremo alla periferia della città dove dovremo completare il tutorial per ottenervi l’accesso.
Da qui in poi sarà un continuo susseguirsi di incarichi che ci porteranno a scoprire l’identità degli otto luogotenenti di Terra Nova, per poi affrontarli in vere e proprie boss fight una volta raggiunti i requisiti richiesti.
Fatto questo non ci resterà che affrontare il boss finale per ultimare la campagna.
Come è facilmente intuibile la storia in Crackdown 3 non è altro che un mero contorno al gioco vero e proprio, è del tutto accessoria, ed è chiaro sin da subito che il team di sviluppo non ha perso molto tempo nell’elaborarla.



Il gameplay di Crackdown 3 è semplice e immediato, inserito in un contesto open world con visuale in terza persona.
In principio dovremo scegliere quali fra gli agenti disponibili impersonare, ognuno dei quali ha due skill che livelleranno più velocemente delle altre.
Le skill riguardano Agilità, Abilità nelle armi, Esplosivi, Forza e capacità di Guida, il miglioramento delle quali è affidato ad un sistema di leveling ibrido, dove l’agilità migliora recuperando delle sfere verdi sparse nella mappa nei punti più disparati, l’abilità di guida compiendo manovre spericolate e gare automobilistiche, mentre le restanti abilità scaleranno in base alle kill effettuate con la corrispondente abilità (un po’ come accade nella serie Elder Scrolls).
Il nostro agente può spiccare balzi elevatissimi che gli permettono di raggiungere qualsiasi tipo di sporgenze, dalle quali continuare la scalata fino ad arrivare in cima a ogni edificio, cosa però non sempre semplice a causa di alcune imprecisioni nel sistema di gestione della telecamera.
Il sistema di mira si avvale di un lock (tasto destro del mouse su PC, grilletto sinistro su Xbox One) che centra il mirino su un nemico permettendoci di sparare a colpo sicuro.
Non siamo quindi dinanzi ad uno shooter tecnico, dove la mira manuale fa da padrona, piuttosto si può parlare di uno sparatutto arcade “caciarone” votato al platform.
Nel nostro inventario avremo a disposizione sino a 3 armi per volta e un tipo di granata.
Potremo rotolare per schivare gli attacchi e attaccare corpo a corpo col tasto dedicato, se l’occasione lo richiede.



Non poteva mancare la parte dedicata ai veicoli, come in ogni open world degno di questo nome.
Avrete accesso a svariate armi e veicoli in Crackdown 3, tutte con caratteristiche proprie e basterà entrarne in possesso una sola volta, durante la partita, per averle poi sempre disponibile ad ogni respawn point.
La libertà nel gioco è pressoché totale e una volta ultimato il tutorial si può tranquillamente andare a zonzo per la mappa, senza particolari limiti, alla ricerca dei collezionabili che spaziano dal boost per tutte le abilità, ai frammenti di DNA di altri agenti che, una volta raccolti, ci permetteranno di sbloccare altri personaggi da impersonare.
Fin qui sembrerebbe di essere di fronte a delle buone premesse, ma i problemi nascono dopo un paio d’ore di gioco o giù di lì.
Seppur le boss fight siano belle ed appaganti le altre attività a disposizione del giocatore sono in realtà tutte fin troppo simili: si tratta di andare in un determinato punto, pulire il campo dai nemici e distruggere l’obbiettivo per poi ripetere il tutto ancora e ancora.
La mancanza di varietà è tangibile e il raccogliere armi più potenti o migliorare le proprie stats non riescono ad essere un incentivo sufficiente per progredire nella campagna.
Al contrario della parte multiplayer, disponibile come download separato, che approfondiremo in altra sede, la distruttibilità dello scenario in campagna è davvero limitata, perché il tanto sbandierato cloud computing, come era stato preannunciato in fase di sviluppo, viene attivato solo durante le sessioni del client multigiocatore.
Tutti gli effetti fisici sono relegati a qualche esplosione e nulla più: anche la più pericolante delle catapecchie della periferia è immune ai nostri colpi.
Il targeting system è talvolta impreciso nella scelta del bersaglio e capita che il lock finisca su di un bersaglio molto distante piuttosto che su quello che avevamo intenzione di mirare.
L’IA nemica è imbarazzante in molti frangenti, con nemici immobili nascosti dietro ad un ostacolo aspettando di essere uccisi.




Quello che più infastidisce della produzione è la costante sensazione di occasione mancata: la città, pur essendo un po’ statica, è artisticamente ispirata e saltare di tetto in tetto regala scorci coloratissimi e l’elevatissima mobilità del nostro agente permette un’esplorazione a tutto campo molto rapida.
Tecnicamente Crackdown 3 si muove bene, il framerate non è male, e l’Unreal Engine fa il suo dovere, ma i modelli poligonali sono piuttosto grossolani e il cell shading per quanto gradevole non è allo stato dell’arte.
Gli effetti particellari sono coloratissimi ma spesso non fanno altro che confondere l’azione e rendere difficile l’identificazione dei bersagli.
Le sessioni di guida sono presenti ma non stimolanti, se non quando ci ritroviamo a bordo di un mezzo armato, ma si capisce ben presto che il nostro personaggio risulta molto più letale a piedi che non a bordo di un veicolo.
Le fasi di shooting sono concitate e per lo più appaganti, con nemici che risultano più sensibili ad un tipo di arma piuttosto che ad un’altra rendendo così la sfida più gradevole, ma risulta spesso difficile capire cosa ci colpisce o da dove provengono i colpi.
Una volta portata a termine la campagna, poco più di 7-8 ore, manca qualsiasi motivo per spingersi oltre e il gioco muore li.
Di certo potremmo continuare a evolvere il nostro personaggio, ma è del tutto assente una buona motivazione per farlo.
Vi strapperà un sorriso fare una partita in cooperativa insieme a 4 amici, ma a parte moltiplicare il caos a schermo non otterrete molto di più.
In definitiva Crackdown 3 è un titolo sufficiente e nulla più, che prova a emulare il sé stesso degli albori senza aggiungere niente di significativo.


Un vero peccato.

giovedì 14 febbraio 2019

Resident Evil 2

14 febbraio 0 Comments
Carissimi, bentornati! Oggi ospito la bella recensione senza spoiler di Resident Evil 2, redatta da mio marito per la rivista online Yessgame.it!
Potete leggerla qua o direttamente sul sito a questo link




Resident Evil 2: Capcom ci riporta a Raccoon City

Capolavoro o mera operazione di marketing?

Per molti della mia generazione la serie di Resident Evil è qualcosa di sacro, intoccabile, quasi perfetto. In quel finire degli anni ’90 tutti gli appassionati non vedevano l’ora di tornare a massacrare zombi & co. dopo il successo del primo capitolo targato 1996, ma quello che si faticava a immaginare era che il suo seguito potesse superare di gran lunga il predecessore.
Resident Evil 2 aveva una grafica superiore, un gameplay migliore, e una trama molto più accattivante di quanto visto nella produzione precedente. Le vendite del titolo schizzarono alle stelle rendendolo di fatto un astro intramontabile del panorama videoludico del secolo scorso. Va da sé che quando Capcom annunciò il remake di Resident Evil 2 in molti imbracciarono i forconi accusando i produttori di cercare la mera manovra commerciale.




Al grido di “Il capolavoro non si tocca” la comunità videoludica si è divisa fra chi nutriva forti dubbi su questo remake e chi nutriva la speranza di rigiocare una pietra miliare in salsa moderna, ma con lo stesso spirito che aveva reso grande la serie… questi ultimi hanno avuto ragione da vendere. Tecnicamente RE2 si presenta molto bene, con un buon framerate in 4K (su una Nvidia 1080 aggiustando i settaggi si arriva fra i 50/60) peccato solo per qualche saltuario fenomeno di microstuttering che dovrebbe venire risolto da una futura patch. Il motore grafico è il collaudato RE Engine che abbiamo visto in RE7 e quindi più che adatto allo scopo. Le textures sono di qualità scalabile per ottenere il massimo da ogni configurazione e appaiono pulite e gradevoli. La qualità dei modelli poligonali è davvero alta anche se si nota che maggior cura è stata usata per i protagonisti e gli zombi, ma è naturale considerando che sono gli elementi di certo più presenti durante l’avventura.




La parte sonora è al top e fa il suo egregio lavoro ansiogeno: scricchiolii, latrati, grugniti, e i passi del Tyrant sono la vera colonna sonora del gioco, quasi del tutto priva di musiche se non durante le fasi più concitate. Tutto ciò passa in secondo piano una volta cominciata la prima partita. Pochi minuti e l’atmosfera torna identica a quel lontano 1998, dove all’interno della stazione di Polizia di Raccoon City si cerca in ogni angolo per trovare qualche munizione in più o meglio qualche indizio per proseguire. Si respira la stessa aria piena di inquietudine e insicurezza che c’era nella vecchia serie. Certo, siamo in un ambiente 3D e i puristi potrebbero avere da ridire su questo, ma la magia di Capcom ha fatto in modo di lasciare inalterato lo spirito proponendo il suo capolavoro in salsa moderna, e merita più di un plauso per esserci riuscita.

Nel 2019 sarebbe improponibile il gameplay del vecchio RE2… punto.




Per rendere il gioco più appetibile alcune cose sono ovviamente cambiate, come la posizione degli oggetti, enigmi e armi, mentre invece è simile, anche se ammodernata, la gestione dell’inventario; si parte con 8 slot che con vari upgrade possono arrivare a 20 e gli inchiostri (necessari per salvare la partita) sono presenti solo a difficoltà estrema. Come da tradizione il comparto armi è differente se si affronta l’avventura con Leon o con Claire, ma tutte le armi donano un feedback straordinario e ognuna fa esattamente cosa ci aspettiamo… prendere i licker a granate sul muso con Claire è sempre un piacere.
Anche le location hanno avuto delle aggiunte, come l’orfanotrofio e nuove stanze di raccordo, utili a diversificare i percorsi di Claire e Leon. Entrambi i personaggi sviluppano percorsi separati, ma complementari e molti enigmi vanno risolti diversamente per ciascuno di essi.




Inutile aggiungere che per vedere il vero finale del gioco dovrete completare due run almeno, una con ciascun personaggio. Abbiamo a disposizione 3 livelli di difficoltà fra cui scegliere (assistita, standard, estrema) ma certamente il livello standard è quello ottimale per i veterani del survival horror, ottimo campo di addestramento per passare poi a estremo.
La durata della prima partita si attesta sulle 7 ore, ma per ottenere il grado A dovrete impiegare meno tempo… parecchio di meno. La rigiocabilità è un altro punto forte del gioco: nel momento in cui vi scrivo ho concluso la mia quarta run e ancora non mi è passata la voglia di giocare, raramente di questi tempi capita di finire un gioco e riprenderlo a mano così tante volte di seguito, ma così come nel '98 Capcom c’è riuscita di nuovo.

Segno che ha fatto centro.



martedì 12 febbraio 2019

Zuppa Imperiale alla Mortadella Gluten Free

12 febbraio 2 Comments

Bentrovati, cari Naviganti!


Lo so. E' dall'8 novembre che non posto nulla sul blog e mi dispiace, ma sono stata presissima da altro e non ho avuto proprio il tempo di starci dietro. Dopo qualche mese di pausa, rieccomi però a parlare di cucina Gluten Free (e molto altro), con un piatto tipico della mia terra, la Zuppa Imperiale.
Gli ingredienti della Zuppa Imperiale sono sempre gli stessi, con l'unica eccezione della mortadella, che viene aggiunta solo a piacimento e, se vogliamo, di qualche scorzetta di limone, così come nei passatelli. Personalmente nei passatelli gradisco una punta di acido, ma nella Zuppa Imperiale no. In ogni modo, so che sono pochissimi quelli che usano il limone in questo piatto.

Non avevo mai fatto la Zuppa Imperiale senza glutine prima d'ora, ma devo dire che è venuta buonissima, quindi voglio proporvi la mia personale ricetta, ma prima parliamo un po' di questo piatto, tipico dell'Emilia Romagna, in particolare di Bologna e Ravenna.
E' un primo piatto, molto sostanzioso, a base di semolino, uova, parmigiano, burro e noce moscata.
Normalmente la si mangia in brodo, rigorosamente di cappone, lo stesso usato per i tortellini. Minestra sostanziosa ed energetica, la Zuppa Imperiale ha superato i confini della cucina bolognese ed è perfetta per ritemprarsi dalle rigide temperature (nelle Marche esiste un piatto simile che si chiama Pasta Reale). Grazie alla sua consistenza s'inzuppa senza disperdersi nel brodo ed è un’ottima alternativa ai famosi passatelli o tortellini. E' tipica delle feste, come il Natale e il Capodanno, ma noi bolognesi la mangiamo tutto l'anno.

La Zuppa Imperiale senza glutine è stata una sfida, perché il rischio che si spappolasse nel brodo era alto. Sono comunque riuscita a farne una versione perfetta per il brodo, che non ha perso minimamente la sua tipica consistenza.

Vediamo un po' il procedimento da me eseguito e gli ingredienti necessari.




INGREDIENTI PER 500 GRAMMI DI ZUPPA IMPERIALE

  • 5 Uova Bio
  • 150 gr. di Parmigiano Reggiano
  • 100 gr. di burro senza lattosio
  • 100 gr. di mortadella IGP
  • 70 gr. di farina di riso
  • 50 gr. di Maizena
  • Sale
  • Noce Moscata

Ottimo, siamo pronti a cominciare. Come prima cosa preriscaldiamo il forno a 180 gradi non ventilato.

Cominciamo separando i tuorli dagli albumi.

Montiamo gli albumi a neve molto ferma (non usate il pizzico di sale, non solo non serve, ma fa solo danni e purtroppo è un mito durissimo da sfatare).

Nel frattempo facciamo sciogliere il burro a bagnomaria molto lentamente.
Procediamo tritando molto finemente la mortadella. Vi consiglio, se non siete esperti di coltelli, di farlo con un mixer. La mortadella deve risultare quasi polvere e ridurla così col coltello è faticoso e mooolto meno preciso.

In un boule uniamo poi il Parmigiano Reggiano grattugiato sul momento, il burro fuso, i tuorli precedentemente sbattuti, la Maizena e la farina di riso setacciate. Mescoliamo molto bene e poi uniamo, con un movimento delicato dal basso verso l'alto per non smontarle, le uova a neve.

A questo punto profumiamo il tutto con la noce moscata e correggiamo di sale.

Dovrebbe risultarvi un impasto morbido, ma molto asciutto e un po' gonfio. Stendetelo uniformemente con il dorso di un cucchiaio su una teglia rettangolare di circa 25 cm per 20.

A questo punto infornate. Passati 20/25 minuti (dipende dal vostro forno) a 180 gradi, ventilate il forno e lasciate l'impasto altri 5 minuti. Deve dorarsi sulla superficie.

Personalmente non ho dovuto nemmeno fare la prova dello stecchino, per capire se fosse pronta. Era visivamente evidente.
Estraetela dal forno e lasciatela raffreddare. Una volta a temperatura ambiente tagliatela a cubetti di circa 1 centimetro.
Potrete anche congelarla, riponendola suddivisa in porzioni nei sacchetti da freezer. Sarà pronta per essere gettata ancora congelata nel brodo bollente.

Mi raccomando... preparate un brodo all'altezza di questo favoloso piatto! Anche se non sarà di cappone, come tradizione vuole, l'importante è che la Zuppa resti in qualche modo.... Imperiale!

Buon appetito!



Per qualsiasi nozione inerente la celiachia, invece, vi rimando all’unico sito davvero attendibile nel quale potrete trovare risposta a ogni vostro dubbio. Il sito dell’Associazione Italiana Celiachia, AIC. Se però avete qualche domanda, più che altro incentrata sulla nostra esperienza personale, scrivetemi pure.

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