sabato 25 aprile 2015

Van Gogh Alive

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“Siamo tanto attaccati a questa vecchia vita perché accanto ai momenti di tristezza, abbiamo anche momenti di gioia in cui anima e cuore esultano – come l'allodola che non può fare a meno di cantare al mattino, anche se l'anima talvolta trema in noi, piena di timori.”         

Quest’oggi vi parlerò di un artista che personalmente non mi ha mai convinta troppo, ma che ho avuto modo di rivalutare di recente; mi riferisco al pittore olandese Vincent Van Gogh. Non l’ho mai amato granché, è vero, ma da poco ho assistito a una mostra molto particolare che mi ha raccontato un Van Gogh decisamente inedito. Un Van Gogh uomo e non solo pittore. Una mostra spettacolo che invito tutti a vedere perché parla dell’Anima e non del pennello.

Partiamo con ordine, però, e vediamo innanzitutto chi è questo artista che ormai tutti noi abbiamo sentito nominare, studiato, visto e rivisto un milione di volte, senza però conoscerlo davvero, senza averlo mai approfondito sul serio. Ecco un mio breve sunto sulla sua vita.


Vincent Van Gogh, figlio di un pastore protestante, era un uomo solo, mentalmente instabile, ben conscio di essere disturbato e malgrado tutto questo, dannatamente lucido e brillante da essere consapevole di sé e del mondo. Innamorato della natura, dei colori e della pittura era persino consapevole di non essere un grande disegnatore, ma la passione per le tele, i pennelli e le tonalità cromatiche delle tempere a olio superava qualsiasi inattitudine.

“In quanto a me, anche quando sarò più padrone del pennello di quanto lo sono attualmente, mi prefiggo di affermare sistematicamente che non so dipingere. Mi capisce bene? Continuerò a dirlo anche quando avrò trovato un procedimento mio personale, più completo e più conciso di quello attuale. ... Il sentimento positivo che l'arte è una cosa più grandiosa e più sublime della nostra personale abilità, della nostra personale capacità e della nostra scienza personale ... il sentimento positivo che l'arte è una cosa che, pur essendo fatta da mani umane, non è un prodotto soltanto manuale, bensì sgorga da una fonte più profonda della nostra anima ...”

Autore di qualcosa come 846 tele e migliaia di disegni, è stato incredibilmente prolifico, se si pensa che è morto all’età di 37 anni e che ha iniziato a dipingere sul serio quando ne aveva 30. Aiutato economicamente ed emotivamente dal fratello Theo riuscì a portare a termine moltissimi lavori, ma ahimé, nessuno apprezzato dal pubblico e dalla critica dell’epoca.

Grazie al suo lavoro per una ditta di mercanti d’arte, poté viaggiare molto e l’influenza che i luoghi visitati ebbero su di lui la si ritrova spesso nei suoi dipinti. I soggetti preferiti da Vincent erano girasoli, cipressi, cieli stellati, campi di grano e persone. 

Per conoscere davvero questo artista non ci sarebbe bisogno di vedere nemmeno un suo dipinto, ma sarebbe sufficiente leggere la fittissima corrispondenza che teneva con suo fratello. Circa 650 lettere (600 e passa solo di Vincent) dove il pittore descrive i suoi stati d’animo, i suoi dipinti, il suo dolore, la solitudine e anche i momenti di profondo ottimismo. Sono quelle lettere a raccontarci chi era Vincent Van Gogh e cosa o come dipingeva. Sono quelle lettere che mi hanno fatto rivalutare l’uomo che si nasconde dietro alla famosissima Notte Stellata, al suo autoritratto più famoso, alla sua Camera di Arles, ai Girasoli e agli Iris.


Vincent era uno scarso studente (con l’eccezione di arte e letteratura) e finì con l’andare a lavorare molto presto, grazie alle conoscenze della sua numerosa famiglia. Era il 1869. Iniziò a viaggiare dividendosi fra l’Aia, Bruxelles, Londra e Parigi. A Londra ebbe una prima crisi depressiva piuttosto seria dovuta al rifiuto da parte di una ragazza alla quale si era dichiarato. Da quel momento perse interesse per il lavoro, chiese di essere trasferito e cadde in un vortice di emozioni negative che lo portò alle dimissioni nel 1876 e a coltivare un morboso interesse per la religione in molte sue forme. La sua vocazione teologica lo portò a vivere in villaggi di minatori. Divenne predicatore e si prese così a cuore la misera vita di quelle persone da perdere il senso della realtà, mettendo in secondo piano i suoi stessi bisogni. Aiutò e curò poveri e malati fino al punto di cedere il suo stesso letto o tagliare i suoi vestiti per farne bende per i feriti. Le autorità ecclesiastiche considerarono il suo eccessivo operato socialmente pericoloso e lo licenziarono incrementando così ulteriormente la sua crisi interiore e portandolo a vivere una vita sempre più tormentata.

La famiglia, preoccupata per il suo precario equilibrio mentale, lo incoraggiò a indirizzare le sue lodevoli gesta verso un percorso artistico e lui, ovviamente, accettò il consiglio e l’aiuto; Nel 1891 si iscrisse all’accademia delle Belle Arti. Qui Vincent ebbe una seconda cocente (è il caso di dirlo) delusione d’amore. Perse la testa per una sua cugina, vedova da poco, che lo rifiutò. Questo nuovo dolore portò l’aspirante pittore al punto di ferirsi autonomamente una mano sulla fiamma di una lampada. 

Si trasferì nuovamente all’Aia e dopo un po’ di tempo conobbe una ragazza che gli fece da modella. Sien era una prostituta alcolizzata e butterata dal vaiolo. Ragazza madre con una bimba piccola, e un’altra in arrivo, smosse la sindrome del crocerossino di Vincent, il quale pensò, dopo il parto, persino di sposarla, nel tentativo di salvarla dalla sua tremenda condizione. L’unica cosa che Vincent ottenne dalla sua relazione con Sien fu la gonorrea che lo catapultò all’ospedale. La sua famiglia, appreso della sua intenzione di voler sposare una prostituta, tentò addirittura di internarlo, ma alla fine non ce ne fu bisogno perché Vincent stesso la lasciò trasferendosi nel nord dell’Olanda.

Nel 1883 l’artista decise di tornare a vivere con i genitori. Allestì uno studio in casa del sagrestano della parrocchia, che aveva disponibili un paio di stanze. Qui dipinse moltissimo e si iscrisse anche a un corso di pianoforte, convinto dalla teoria di Richard Wagner, dell’esistenza di un collegamento fra musica e colore.


“In quanto a me, io sono ancora come ero a Nuenen, quando ho fatto uno sforzo vano per imparare la musica, talmente già sentivo fin da allora i rapporti che esistono fra il colore e la musica di Wagner.”

Sorsero, da questo punto della sua vita in avanti, tutta una serie di ulteriori problemi (e accuse) e Vincent riprese a viaggiare. Dal 1886 al 1888 visse a Parigi, dove il fratello si era recato per lavoro. Qui conobbe la grande pittura degli impressionisti, ricavandone molti spunti e stimoli. Soprattutto acquisì maggior sensibilità per i colori.

 “Come vedi, consacro tutte le mie energie alla pittura e scavo il problema dei colori: finora me n'ero astenuto, e non lo rimpiango. Se non mi fossi dedicato al disegno, non sarei attratto da una figura che mi appare come una terracotta incompiuta, e non ne sarei colpito. In questo momento ho l'impressione di trovarmi in alto mare: devo consacrare alla pittura tutte le forze di cui posso disporre. Se vorrò dipingere su tavola o su tela, ci saranno spese: tutto costa caro, anche i colori  sono cari, e la mia riserva si esaurisce presto. Ma pazienza, sono le difficoltà nelle quali incorrono tutti i pittori, e perciò dobbiamo soppesare i nostri mezzi. So tuttavia con certezza di possedere il senso dei colori e che questo senso si svilupperà sempre più, perché la pittura l'ho nel sangue.”

Alla fine del 1888, Vincent si trasferì ad Arles, nel sud della Francia. Dopo qualche mese lo raggiunse l’amico Paul Gauguin e insieme i due iniziarono un sodalizio artistico intenso che però si interruppe poco dopo a causa della partenza di Gauguin. Cosa che procurò una nuova crisi a Van Gogh che arrivò a tagliarsi il lobo di un orecchio. Iniziarono così i suoi ricoveri in ospedale (volontari), sempre più in bilico tra depressione e brevi momenti di felicità.

Auvers-sur-Oise, luglio 1890.   “Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello quasi mi casca dalla mano; e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto ... tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la tristezza, l'estrema solitudine.
…    In quanto a me, sono totalmente preso da questa infinita distesa di campi di grano su uno sfondo di colline, grande come il mare, dai colori delicati, gialli, verdi, il viola pallido di un terreno sarchiato e arato, regolarmente chiazzato dal verde delle pianticelle di patate in fiore: tutto sotto un cielo tenue, nei toni azzurri, bianchi, rosa, violetti. Sono completamente in una condizione di calma persino eccessiva, proprio nello stato che occorre per dipingere ciò.”


Il 27 luglio del 1890, il buio lo inghiottì definitivamente e stretta una pistola fra le mani si sparò al petto morendo due giorni dopo.

Auvers-sur-Oise: lettera trovatagli addosso il 29 luglio 1890.  “Per il mio lavoro, io rischio la vita, e la mia ragione vi è quasi naufragata …”

Vincent vendette un solo quadro in tutta la sua vita e soltanto una volta poté leggere il suo nome in un articolo di giornale. Morto solo e disperato, venne alla luce e glorificato soltanto dopo la sua morte. La sua fama ha raggiunto dimensioni planetarie e su di lui sono stati scritti libri e girati film. Il genio e la passione di Vincent Van Gogh sono stati riconosciuti, ma come spesso accade, troppo tardi.

Nuenen, agosto 1885. Ad Anthon van Rappard.  “Credo nondimeno che, anche se seguito a produrre opere nelle quali si potranno ritrovare difetti, volendole considerare con occhio critico, esse avranno una vita propria e una ragion d'essere che supereranno i loro difetti, per coloro soprattutto che sapranno apprezzarne il carattere e lo spirito. Non mi lascerò facilmente incantare, come si crede, nonostante tutti i miei errori. So perfettamente quale scopo perseguo; e sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me. Tuttavia, a volte questo mi avvelena la vita, e credo che molto probabilmente più d'uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e d'indifferenza.” 


Bene, dopo il riassunto che non rende affatto giustizia alla vita travagliata e sofferta del noto pittore, parliamo un po’ di Van Gogh Alive

Di cosa si tratta? Allora: per prima cosa levatevi dalla testa l’idea che vi siete fatti della parola “mostra”, perché Van Gogh Alive non è una mostra, ma un’esperienza sensoriale, un nuovo modo di vivere l’arte. Si tratta di una sorta di spettacolo itinerante che fonde in un unico ambiente arte, bellezza, musica, storia, tecnologia, Anima e poesia. 
Alive in questo momento è a Firenze e ci resterà fino al 2 Giugno, visto che è stata prorogata grazie al suo successo (avrebbe dovuto terminare il 12 aprile). Sono al corrente del fatto che la mostra-spettacolo si è tenuta in altri contesti e che a volte è stata accompagnata da musica dal vivo e in un’occasione persino da una sfilata di moda (credo che Vincent si sarebbe ribaltato nella tomba, ma va beh…), ma io mi limiterò a parlarvi della versione fiorentina che ho avuto il piacere di vedere da poco.

Alive a Firenze si svolge presso la bellissima chiesa sconsacrata di Santo Stefano al Ponte Vecchio, nel cuore di Firenze. Si accede della cripta, dove si trova la biglietteria e dopo un primo giro introduttivo fra le stampe dei dipinti corredati da una breve spiegazione dell’evento e della vita del pittore, si sale la scala che porta all’interno della chiesa, al centro della navata. 40 proiettori ad altissima definizione, grazie all'innovativo sistema SENSO-RY4, proiettano oltre 3000 immagini su tutte le pareti della chiesa buia, accompagnate da splendide musiche, da Handel a Schubert o da Sakura a Liszt, tanto per fare qualche esempio.

Alive però non si limita a questo. 

Vi è un ottimo lavoro di coreografia e regia, in particolar modo su quei dipinti che prendono vita e si muovono, oppure scorrono lungo le navate in un bellissimo gioco di transizioni. Le pale del mulino che ruotano, i corvi che si alzano in volo dal campo di grano, il filo di fumo della sigaretta fumata dal teschio che si alza in volute sinuose… meraviglioso… il tutto in sintonia con le musiche di fine ottocento, scelte con criterio a seconda del periodo nel quale il pittore ha partorito quella determinata serie di disegni e pitture. Il periodo di gioia, di depressione, di pace o quello del buio che lo inghiottì durante il suo ricovero volontario in manicomio, quando dipinse La notte stellata.

“Questa mattina dalla mia finestra ho guardato a lungo la campagna prima del sorgere del Sole, e non c'era che la stella del mattino, che sembrava molto grande…”


Dipinti, disegni e musiche sono accompagnati dalle parole dello stesso pittore, estrapolate dalle 600 lettere scritte a suo fratello. Questo permette di scendere ancora più a fondo nell’anima del pittore, tormentata sì, ma piena di ottimismo e coraggio, di saggezza e altruismo. 

Un pozzo nero di dolore sopra il quale crescono magnifiche ninfee e fiori acquatici traboccanti di colore. Questo era Vincent Van Vogh, un oceano torbido e dalle correnti tumultuose, ma che sul pelo dell’acqua ospita fra i suoi flutti delicati, la Vita intiepidita dal sole che brilla come una distesa di stelle.

Non mi vergogno a dire che questa esperienza mi ha toccata e mi ha commossa profondamente. Non mi vergogno a dire che ora guardo i dipinti di Van Gogh con altri occhi, perché finalmente riesco a vedere al di là dei colpi di pennello. Lo scopo di questa “mostra”, almeno con me, è stato  raggiunto e quindi dico Grazie a chi l’ha ideata e messa in scena, e invito tutti voi lettori a vederla perché vi spalancherà il cuore.

Sono rimasta impassibile davanti alle sue tele originali nella sua pinacoteca di Amsterdam, e mi aspettavo lo stesso al Van Gogh Alive.
Beh, ho cambiato idea.

Fatelo anche voi. Entrate, sedetevi per terra al centro della chiesa e lasciatevi trasportare dai colori magnifici di queste tele che per voi prenderanno vita.


È come avere un gran fuoco nella propria anima e nessuno viene mai a scaldarvisi, e i passanti non scorgono che un po' di fumo, in alto, fuori del camino e poi se ne vanno per la loro strada.

Se varrò qualcosa più in là, la valgo anche adesso, perché il grano è grano, anche se i cittadini all'inizio lo scambiavano per erba.

Nella mia febbre cerebrale o follia, non so come chiamarla, i miei pensieri hanno navigato molti mari. A momenti, come le onde disperate si infrangono sulle scogliere indifferenti, un desiderio tumultuoso di abbracciare qualcosa.




Van Gogh Alive è una di quelle cose che fanno bene all'Anima.

sabato 18 aprile 2015

127.0.0.Sirmione - Giorno 2

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Quest’oggi ritorno a parlare, dopo ben tre mesi e mezzo da quel weekend trascorso sulle rive del Lago di Garda, della bellissima Sirmione.

Perdonate la lunga assenza dal blog, ma a costo di essere ripetitiva fino alla nausea, vi ricordo che non amo postare tanto per riempire spazi vuoti. Preferisco di gran lunga prendermi il tempo necessario per scrivere un post lungo e ragionato. Tanto più che questo blog non è una testata giornalistica, ma solo il mio personale Diario di bordo senza pretese di nessun tipo, men che meno di puntuale regolarità. Per quella vi consiglio il Bifidobacterium animalis.

Bene, detto questo torniamo a Sirmione.



Dopo una colazione da paura, con un buffet così vasto da mandare gli ospiti dell’hotel Grifone in attacco di panico del tipo “E ora cosa mangio!? Con cosa comincio!? Per la Peppetta quanto ben di Dio O_O” ci siamo incamminati verso le famose Grotte di Catullo.


Grotte di Catullo
Se andate a Sirmione, dovete per forza andarci. Questo sito archeologico, conosciuto da tutti come Grotte, in realtà è un’immensa villa romana, o meglio ciò che ne resta, edificata fra il I secolo avanti Cristo (le strutture sottotanti) e il I secolo dopo Cristo (la villa); a dire il vero anche Catullo, in tutto questo c’entra poco e niente.

La denominazione di Grotte risale al 1400 a causa della riscoperta delle liriche del poeta romano Catullo (morto nel 54 avanti Cristo), dove egli descrive il ritorno nell’amata casa di Sirmione suggerendo un collegamento con i resti ancora visibili dell’antica villa, in larga parte interrati e ricoperti dalla vegetazione, tanto da sembrare quasi delle grotte. A tutt’oggi non esiste però un reale collegamento fra i resti della villa romana di Sirmione e la famiglia del poeta Catullo.




Sembra che la villa abbia avuto vita breve, perché già nel III secolo dopo Cristo era in stato di abbandono, diventando col tempo una sorta di fortificazione a protezione della penisola, luogo di sepoltura e persino una cava di materiali.

Il complesso copre un’area di circa due ettari e ha pianta rettangolare. Il piano nobile, quello dove alloggiava il proprietario, è il più danneggiato, mentre si sono conservati meglio i restanti due piani. La villa era caratterizzata da lunghissimi portici e splendide terrazze aperte sul lago e comunicanti fra loro da un belvedere. Sul lato occidentale è ancora visibile il criptoportico, una lunga passeggiata un tempo coperta. 


Grotte di Catullo
Nel corpo centrale della villa, dove si trovava un ampio giardino ora vi è il Grande Oliveto. Pensate che in tutta l’area del sito archeologico sono presenti circa 1500 ulivi, alcuni dei quali plurisecolari e dal 2012 si è ripresa la raccolta delle olive e la produzione del raro olio extravergine del secolare oliveto 'Grotte di Catullo'.

Sul lato meridionale si trovava un’enorme cisterna lunga circa 43 metri per la raccolta dell’acqua. Una zona della villa, probabilmente costruita successivamente, era dedicata alle terme.



Dal 1999, all’interno del sito archeologico, è presente anche il museo che ospita numerosi reperti venuti alla luce durante gli anni degli scavi, un plastico che riproduce la villa stessa e una piccola, ma interessante area dedicata alla formazione geologica del Lago di Garda.

La visita del sito richiede un bel po’ di tempo, perciò mettete in conto almeno due o tre ore. Quel che è rimasto in piedi della villa è davvero poco, ma vi assicuro che vi perderete fra gli ulivi, passeggerete lungo tratti altrimenti inaccessibili e scatterete foto su scorci mozzafiato lungo tutto il perimetro nord della penisola che sarebbe possibile vedere soltanto in barca. Se avrete la fortuna, come l’abbiamo avuta noi, di visitare le Grotte di Catullo in una giornata di sole, sono certa che vi tratterrete a lungo in quella macchia verde e azzurra, dove si respira aria di duemila anni fa.


Le Grotte di Catullo viste dalla barca
Le Grotte sono raggiungibili a piedi dal centro di Sirmione in circa 15 minuti e lungo la strada vi consiglio di fermarvi qualche istante nell’antichissima chiesa di San Pietro in Mavino riposando i piedi stanchi, seduti su una delle panchine lungo la strada alberata accanto all’edificio.

Secondo la tradizione, questa chiesa venne costruita dai pescatori del luogo e dedicata all’apostolo Pietro. I primi documenti che citano la chiesa di San Pietro in Mavino risalgono all’VIII secolo. Con la facciata a capanna, il rosone centrale, una sola navata, la pianta rettangolare, il basso campanile e la semplicità dei suoi interni ha il tipico aspetto di una chiesa medievale e le sue dimensioni così ridotte la rendono un luogo intimo e raccolto.


San Pietro in Mavino
A proposito di dimensioni ridotte, non dimenticatevi di visitare nel centro storico di Sirmione, proprio di fronte alla Rocca Scaligera, la microscopica chiesa di Sant’Anna. Una delle chiese più piccole che io abbia mai visto. Piccolissima e deliziosa. La chiesa, che si trova all'entrata del borgo di fronte alla Rocca, risale al 1300. All'interno vi sono decorazioni e affreschi anche quattrocenteschi. Gli stucchi sono in stile barocco. Sull'altare vi è l'effige della Madonna dipinta su una pietra con lo stemma scaligero.

Sant'Anna
No, non credo in Dio, nel caso ve lo stiate chiedendo, ma amo il silenzio, il fresco, la pace e la spiritualità che in tutti i luoghi di culto (qualsiasi culto) si respira. Diciamo che credo in “qualcosa” che va al di là di ogni religione. Credo nell’energia e nello spirito della Natura e della Terra, credo nell’equilibrio e nel Respiro del Pianeta.
Nelle chiese, insomma, amo entrare e sedermi quando non c’è nessuno.

Un’altra splendida chiesa da non perdere nel centro storico di Sirmione è Santa Maria della Neve. Edificata nel 1400, è ricca di storia, accogliente e piena zeppa di fascino. La sua facciata poggia sul muro che un tempo cingeva la cittadina ed è decorata in terracotta. Il portico a cinque arcate che la caratterizza, in origine faceva parte del cimitero, e anche questa chiesa, come San Pietro in Mavino, ha un’unica navata.


Santa Maria della Neve
Tornerò a parlare di Sirmione in un prossimo post, raccontandovi ancora del mio weekend trascorso lì e di tutte le meraviglie che questa piccola perla sul Lago di Garda può offrire al visitatore. A presto!

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