domenica 25 gennaio 2015

Gabriel Knight - The Beast Within

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Oggi torniamo a parlare di frammenti videoludici con un capolavoro assoluto che io amo immensamente: il secondo capitolo della saga di Gabriel Knight. The Beast Within. 

Sono profondamente affezionata a questo titolo che rigioco a cadenza regolare tutt’ora, dopo la bellezza di 20 anni. Esatto, avete capito bene. Gabriel Knight 2 è del 1995 e credo di averlo giocato ormai una decina di volte, se non di più (come Ripper, ricordate la mia recensione?). 

Sappiate che nel 2007 uscì una riedizione di GK2 con contenuti extra e supporto per Windows XP e VISTA, quindi vi consiglio di recuperarla e giocarci; non farlo sarebbe un sacrilegio. Eccola qua sotto: 


Si tratta di un’avventura punta e clicca in terza persona, questa volta FMV (full motion video), della scrittrice Jane Jensen, recitata magistralmente da Dean Erickson nella parte di Gabriel Knight e da Joanne Takahashi in quella di Grace Nakimura, più, ovviamente, una serie molto lunga di attori co-protagonisti davvero eccellenti e, nella versione italiana, anche meravigliosamente doppiati, cosa da far gridare al miracolo, una volta tanto. Pensate che a detta di molti, il doppiaggio italiano di quest’avventura, batte addirittura l’originale parlato inglese.

Adventure Planet, nel 2005, la descrive così: 

“Che dalla penna di Jane Jensen escano fuori sempre delle cose mirabolanti non è certo una novità per gli appassionati di avventure grafiche. Non fa di certo eccezione il secondo capitolo di una delle serie più amate di sempre: Gabriel Knight. The Beast Within è l’ennesima dimostrazione, se davvero ce ne fosse ancora bisogno, di come avventura e mistero storico si possano fondere in un qualcosa di unico ed irripetibile capace di regalare fortissime sensazioni ed emozioni. Se a tutto questo aggiungiamo anche un pizzico di horror ed un’ottima ambientazione, di sicuro ci renderemo subito conto di essere di fronte ad una delle migliori avventure di sempre.” 


Vediamo di riassumere in poche parole il primo capitolo della saga: The Sins of The Fathers, giusto per introdurre meglio il suo seguito. La mia personale recensione completa, potete leggerla qua, nel caso l’abbiate persa. 

Chi è Gabriel Knight?

Gabriel è un giovane scrittore americano squattrinato, donnaiolo e nemmeno tanto talentuoso, proprietario di una piccola e antica libreria a New Orleans, che si ritrova suo malgrado invischiato a indagare, assistito dalla sua nuova dipendente Grace, in una serie di omicidi di matrice Voodoo. Grazie a questa misteriosa e pericolosa esperienza, Gabriel trae ispirazione per un libro che lo salverà dal blocco dello scrittore e dall’anonimato e verrà a conoscenza, inoltre, di un segreto incredibile radicato nella sua famiglia da secoli. 

Gabriel è l’ultimo discendente di un’antichissima e nobile stirpe tedesca (i Von Ritter) di Schattenjäger, cacciatori di ombre. Guerrieri della luce. 

Per niente felice di scoprirsi una sorta di eroe, decide comunque a malincuore di adempiere alla volontà dei suoi avi e del suo destino, armato di un talismano protettivo e un antico pugnale.


Questo secondo capitolo della trilogia, cronologicamente, inizia un anno dopo gli avvenimenti di The Sins Of The Fathers. Grazie alla fama acquisita e ai proventi del libro Omicidi Voodoo, Gabriel decide di trasferirsi in Baviera, nella placida e pittoresca cittadina (fittizzia) di Rittersberg, precisamente nel bellissimo castello lasciatogli in eredità della sua famiglia, Schloss Ritter

Gabriel e Gerde
Qui conosce Gerde, l’assistente dell’appena deceduto Wolfgang Ritter, unico discendente incontrato da Gabriel al termine del primo capitolo. Gerde è una giovane donna che fatica a farsi una ragione dell’accaduto. Grace, l’assistente e dipendente di Gabriel è invece rimasta a New Orleans per gestire la piccola libreria e si tiene in contatto con Gabriel soltanto via posta e telefono. 


Il gioco vero e proprio inizia quando in paese comincia a girare voce che lo Schattenjäger è tornato. La speranza si riaccende così nei cuori terrorizzati delle persone che da anni, con cadenza quasi regolare, si vedono rapire amici e parenti da quelli che a prima vista sembrerebbero soltanto lupi, ma che forse nascondono un segreto più oscuro, di fronte al quale la polizia non ha mai trovato spiegazione. 

Una notte, dopo la scomparsa dell’ennesima vittima, questa volta una bambina, i paesani di comune accordo vanno a bussare alla porta di Schloss Ritter implorando l’aiuto di Gabriel.
Interessato solo a trovare ispirazione per il nuovo libro e convinto che non ci siano pericoli, Gabriel accetta il caso, avverte Grace via posta ordinaria che non sarà rintracciabile per un po’ a causa di un’indagine fuori Rittersberg e parte per la campagna tedesca, ai confini delle Foresta Nera, ospite qualche giorno dai parenti della piccola scomparsa. 


Conoscendo bene il senso del dovere eccessivo di Grace e la sua tendenza all’apprensione, per evitare quindi incursioni indesiderate dall’America, Gabriel evita accuratamente di lasciarle l’indirizzo di Monaco presso il quale poterlo rintracciare.  

Grace però, dopo aver ricevuto la missiva di Gabriel ed essersi sentita esclusa dall’indagine, ingelosita oltretutto dal fatto che Gabriel possa appoggiarsi a Gerde per le sue ricerche, decide di mollare la libreria e raggiungere lo scrittore in Baviera.

Il gameplay è diviso in capitoli e, dall’arrivo a Schloss Ritter di Grace, potremmo alternativamente comandare l’uno o l’altra.

Grace
Presto vi accorgerete che l’arrivo di Grace non è altro che manna dal cielo, perché quel caso che avete fra le mani, non è affatto una semplice sparizione, ma qualcosa di molto più complesso, qualcosa di antico e molto pericoloso. 

La storia inventata della Jensen si fonde alla perfezione con la realtà della Baviera e del suo famoso e misterioso Re Ludwig II di cui, in altri post, vi ho parlato. 

La storia vera, come quella di Ludwig, del compositore Richard Wagner, della principessa Sissi, dei castelli da favola come Neuschwanstein e della splendida Baviera, s'intreccia così bene con la fantasia di questa scrittrice che faticherete a capire quale sia la finzione e quale la realtà.
Non ho intenzione di aggiungere altro, perché il benché minimo spoiler sarebbe un peccato mortale.

Passiamo quindi a parlare della realizzazione tecnica e del gameplay di Gabriel Knight: The Beast Within.

A questo capolavoro videoludico in full motion video, hanno partecipato qualcosa come un centinaio di persone fra attori, comparse, registi, costumisti, truccatori, tecnici del suono, grafici, programmatori, scenografi, ecc… un tale dispiegamento di forze era, per l'epoca, una rarità nel mondo dei videogiochi (sicuramente per questioni di budget) e il risultato, vi assicuro, si vede. L’utilizzo di questa tecnica, soprattutto in un gioco con una trama simile, è azzeccatissimo perché sarà fantastico e immersivo al massimo aggirarsi per dettagliate location come Marienlplatz, Altoetting o Neuschwanstein, tanto per citarne tre a caso delle moltissime che incontrerete.


Contrariamente poi ad altri lavori del genere, l’interazione del giocatore con l’ambiente circostante è ottimamente realizzata e questo contribuisce a rendere cinematografico e credibile il nostro ruolo di giocatori all’interno della storia. Sono presenti anche scenari fissi prerenderizzati davvero suggestivi e resi ancor più belli da uno o più dettagli in movimento, come il pendolo di un orologio che va avanti e indietro o il volo di un’aquila sulla cima delle Alpi. 



Un aspetto importante del gioco è anche l’atmosfera horror che si respira spesso, in un crescendo di tensione che giunge al culmine proprio sul finale.

Come nel primo capitolo della trilogia, avremo a disposizione un classico puntatore del mouse che cambia forma quando incontra un oggetto interattivo, un inventario di semplice consultazione, un counter che calcolerà il nostro punteggio ogni volta che proseguiremo nella storia, un comodo registratore vocale utile per riascoltare le conversazioni e anche, in un paio di occasioni, per risolvere enigmi e procedere con l’andamento della storia. Inoltre, avremo la possibilità di leggere gli appunti di Grace e le sue ricerche e di rivedere i filmati di gioco.

Il comparto sonoro è splendido e realizzato come sempre dal compositore, nonché marito di Jane Jansen, Robert Holmes che per l’occasione ha scritto persino un’opera lirica (L’Opera Perduta di Richard Wagner). 

Gli enigmi sono sempre ben calibrati e realistici, inerenti e fedeli alla storia e mai illogici o assurdi, lasciando la trama libera di scorrervi davanti agli occhi non rendendola mai frustrante o noiosa; malgrado questo, la longevità è davvero considerevole. Il punto non forte, ma fortissimo, di tutto il gioco è la narrazione, subito seguito dalle ambientazioni. 

I dialoghi sono stupendi, credibili, a tratti divertenti e a tratti commoventi. Vi innamorerete di personaggi come Ludwig II o il Barone Von Glover e vi commuoverete per altri come Gerde, riderete con i coniugi Smith e imparerete a conoscere meglio Grace, che nel primo capitolo è rimasta fin troppo confinata nel suo ruolo di comprimario. 

Arriverete alla fine con la voglia di documentarvi su Ludwig II, con la voglia di andare in Baviera, con la voglia di ascoltare qualcosa di Wagner, con la voglia di rigiocarlo immediatamente. 

The Beast Within è come uno di quei libri che ogni tanto va riletto perché 
Perché non ci sono altre spiegazioni.


martedì 20 gennaio 2015

127.0.0.Dito Von Tease

20 gennaio 0 Comments
Su di lui aleggia il mistero più assoluto. 
Si sa solo che ha 35 anni, che vive a Bologna e fa l’art director, l’illustratore e il graphic designer. Lo hanno cercato e lo stanno cercando tutt’ora da ogni angolo del mondo ed è la prova vivente, nonché strabiliante, di quanto internet sia un mezzo di comunicazione veramente potente. 
E’ diventato famoso da un giorno all’altro senza volerlo: quest’oggi ho il piacere, ma soprattutto il grande onore, di ospitare fra le pagine del mio blog niente popò di meno che il simpatico e geniale Dito Von Tease.


Steve Jobs
1.      Ciao Dito e grazie per il tempo che mi hai dedicato. Cominciamo dall’inizio: ci racconti come è nato Dito Von Tease?


Il progetto Ditology è partito nel 2009. Volevo creare il mio account Facebook, ma volevo che fosse uno spazio virtuale libero dalle intrusioni dei parenti, dei colleghi e degli “amici”. Mi sono così nascosto dietro un dito.

Il desiderio di nascondermi dalla vita reale mi ha fatto riflettere sull’identità, mia e delle persone in generale…
Quindi ho scelto l’immagine di un dito, per suggerire che tutti noi ci nascondiamo dietro un’immagine che vogliamo dare di noi stessi. Questo è il mio Dito: la rappresentazione delle maschere che indossiamo nella vita… probabilmente per preservare la fragile unicità individuale della nostra impronta digitale.


2.      L’idea di usare un simpatico dito come avatar su Facebook, ti ha portato un successo incredibile e inaspettato. Cos’hai pensato sul momento?


Ho pensato di aver creato qualcosa di veramente originale senza accorgermene...

Ti accorgi che un progetto funziona, quando hai molto successo, ma alcuni italianetti lo snobbano.


3.      Nel 2009 è nato il Progetto Ditology. Ce ne parli un po’?

Volevo avere un account su Facebook, ma volevo che fosse anche uno spazio tutto per me, libero dalla curiosità di parenti e colleghi di lavoro e crearmi nuovi amici sconosciuti da tutto il mondo. E così mi sono nascosto dietro un dito, come dice il famoso proverbio.


Mark Zuckerberg
4.      Il tuo nome prende ovviamente ispirazione dalla bellissima Dita von Teese. Come mai questa scelta?


È ispirato a Dita Von Teese, la famosa icona dello stile "bourlesque" una vera esperta nell’arte del travestimento.

Il suo "Teese" diventa nel mio caso "Tease", dall’inglese “to tease” che significa “stuzzicare”, per invitare ad una riflessione curiosa sul complicato mistero dell’identità personale…


5.      Hai trasformato in simpatiche dita moltissimi personaggi illustri del passato e del presente, sia reali che immaginari. Da grande fan di Star Trek, personalmente ho amato molto il Dito Spock. Il tuo preferito, quello a cui sei particolarmente affezionato, invece qual è?

Spock!


Spock
6.      Quel è stato il primissimo Dito che hai realizzato ispirandoti a un personaggio?

Sherlock Holmes. 


Sherlock Holmes
7.      Fra tutti quelli che hai creato, qual è stato il più difficile?

I più difficili sono quelli che non avete ancora visto...


8.      C’è qualche personaggio che hai deciso di non “ditizzare” mai? Se sì, perché?

Gli italiani mediocri. Perché si portano appresso un pubblico di teleidioti che non voglio tra i piedi.


9.      Fra tutte le proposte di lavoro o collaborazione che hai ricevuto, quale ti ha reso più orgoglioso?


Un articolo con intervista di 6 pagine su Topolino con vignetta di Silvia Ziche a me dedicata.
E la realizzazione dei 'ditratti' di Elio e le Storie Tese...

Poi tutte le pubblicazioni mondiali... ho pensato di essere vittima di uno scherzo organizzato, all'inizio.


10.  Più o meno quanto tempo impieghi per creare un singolo Dito?

Più o meno 8 ore... a volte 15 ore, tutto dipende dalla complessità e soprattutto trovare l'espressione... perché i dettagli contano.


11.  Com’è stata accolta la tua arte in Italia?


Secondo te in Italia esiste qualche tipo di accoglienza nei confronti della digital art o qualcosa di parallelo che non sia precedente al 1800? Abbiamo un clan di 70enni che mangiano sulle rovine dell'arte e della cultura e pensano che la pop art e la sperimentazione degli anni sessanta-settanta sia ancora la vera novità, perché la loro testa è rimasta ferma a quel periodo d'oro, un periodo di giovani benestanti mantenuti che facevano la lotta in piazza per noia.

L'Italia non esiste, è solo un racconto televisivo. 

La Grande Bellezza ha detto tutto su questo argomento e consiglio a tutti di rivederlo. (sì sì, lo sappiamo che ai critici di cinema di Facebook disoccupati e rosiconi questa grande opera ha fatto cagare).




12.  E all’estero?

Questo "estero" mi sta mantenendo in parte. Vendo stampe a Londra e Parigi, ogni tre mesi mi mandano report delle vendite e mi stressano affinchè io firmi subito per potermi pagare subito. Interviste su quasi tutti i quotidiani e settimanali online e cartacei del mondo, libri, proposte concrete. Esattamente.


13.  Immagino tu stia lavorando a qualcosa, al momento. Puoi darci qualche indizio o è top secret?

Sto lavorando ad un nuovo progetto, sarà nuovamente ispirato agli idoli e icone, ma... (non posso parlare).


14.  Ci racconti un aneddoto divertente riguardante uno dei tuoi famosi polpastrelli?

Ogni tanto faccio screenshot delle mail e dei messaggi  con le richieste più assurde e le condivido su Facebook... sono troppe non riesco a ricordarne una in particolare...


15.  Un’ultimissima domanda: Esiste il Dito di Dito Von Tease? Ci piacerebbe moltissimo vederlo :)

Il Dito di Dito esiste e si trova su Topolino n. 3048!


Ringrazio Dito per la disponibilità e la gentilezza dimostrata e vi invito a guardare i suoi lavori cliccando qui, facendo un salto sul suo profilo Facebook, scegliere una bellissima cover per il vostro smartphone e magari a scaricare la sua App così da potervi ditizzare a piacimento grazie a un sacco di combinazioni diverse!

mercoledì 14 gennaio 2015

Dragon Age Inquisition

14 gennaio 0 Comments

Bentrovati cari miei viaggiatori, lettori e videogiocatori. Oggi, per la gioia di quest'ultima categoria, ho il piacere di ospitare nel mio blog niente popò di meno che... mio marito Hyunkel76Videogiocatore incallito da più di vent'anni, ottimo scrittore anche se dice sempre di no, e collaboratore dei miei vecchi blog, continua anche oggi a scrivere ogni tanto un pezzo per me e questa sera ho il piacere di presentarvi la sua bellissima recensione di Dragon Age Inquisition

Andiamo a leggere cosa ci racconta della famosa saga Bioware. Pronti?


I giochi "seriali" (un po' come i killer) si possono dividere in 2 grandi categorie:

Quelli che rimangono fedeli a se stessi in ogni aspetto del gameplay, Assassin's Creed e Call of Duty tanto per fare un esempio, migliorando quasi esclusivamente l'aspetto grafico e quelli che cercano di rinnovarsi sempre, nel bene o nel male.

Un episodio qualsiasi di Assassin's Creed, se confrontato con il precedente, non sembra un'evoluzione ma bensì una riproposizione degli stessi contenuti. A ulteriore dimostrazione di ciò, basta notare che queste serie vengono rilasciate a cadenza praticamente annuale. Difficile fare un salto di qualità nel gameplay con così poco tempo a disposizione. Al grido di "squadra che vince non si cambia" questi titoli diventano una miniera d'oro, in quanto il numero di vendite resta pressoché inalterato (chi non ha apprezzato il primo, non ha certo comprato il secondo capitolo della saga) mentre il costo di sviluppo tende a diminuire.

In Final Fantasy, esponente della seconda categoria, il titolo e l'impronta da GDR nipponico sono le uniche costanti mantenute nei capitoli dell'intera produzione. Questo approccio coraggioso porta grandi successi così come grandi delusioni (tanto era meraviglioso il 7 tanto era orribile il 9).
Di questa categoria fa anche parte la serie di Dragon Age.

Dragon Age Origins
La saga inizia alla fine del 2009 con Dragon Age Origins.

Erede spirituale di Baldur's Gate per molti, di Neverwinter Nights per altri, il prodotto di Bioware fa il botto essendo un mix riuscitissimo di storia, gioco di ruolo e avventura come non se ne vedevano da tempo.
Analizzando Dragon Age Origins, con spirito critico, bisogna dire che la storia non grida al miracolo per originalità.
Seppure raccontata magistralmente, il tutto scorre in maniera fin troppo lineare. Le vere chicche nella trama sono tutte in plot apparentemente secondari e sono questi plot che portano avanti il vero filone della trama tra i vari episodi della serie.
Il punto forte del brand è il Lore, che rende l'ambientazione incredibilmente realistica e affascinante.
La storia del Thedas, il continente nel quale si ambientano le azioni di gioco, è minuziosamente raccontata in diversi testi che troveremo nel corso del gioco e onnipresente nei dialoghi con gli npc.
Il vero protagonista della serie è certamente il Thedas.

L'altra chicca che Dragon Age Origins ci offriva (da qui il sottotitolo ORIGINS) era quella di partire da 6 punti di vista differenti che rappresentano i diversi micro strati sociali (elfi, nani, ecc…)  che compongono il popolo del Ferelden, la regione del Thedas in cui si svolge la storia.
Bellissima idea che però verrà abbandonata nei capitoli successivi, per evitare troppe ramificazioni che avrebbero reso la trama sempre più difficile da realizzare.

Non essendo però Dragon Age Origins l'obbiettivo dell'articolo, vi lascerò questo link, se vorrete approfondire e farvi un'idea di come sia stato accettato dalla critica nel 2009.

Dragon Age 2
Poco più di un anno dopo, a marzo 2011 (tenete presente che nel 2010 uscì un corposa espansione di Dragon Age Origins chiamata Awakening, non ispirata quanto il gioco base, ma comunque godibile) esce Dragon Age 2.

Qui iniziano i guai.
Bioware, ormai dal 2007 acquisita da EA, deve sottostare alle regole che le multinazionali dell'intrattenimento videoludico impongono: se un titolo tira, l'hype generato deve essere sfruttato il più possibile per fare cassa.
Solo per capire: il primo episodio venne annunciato nel 2004 e solo nel tardo 2009 vide la luce.
Dragon Age 2 venne sviluppato in poco più di un anno.
Mentre la storia, evidentemente nella testa degli sviluppatori da anni ed anni, regge tranquillamente e personalmente la trovo più avvincente di quella del suo predecessore, il resto del gioco offre il fianco a diverse critiche.

Il protagonista è Hawke, un profugo umano in fuga dal Ferelden a seguito degli eventi avvenuti in Dragon Age Origins, del quale potete scegliere solo la classe (mago, guerriero o ladro) e il sesso. Questa scelta decreta chi dei 2 fratelli del protagonista sopravviverà agli eventi del prologo.
Se mentre nel primo Dragon Age Origins il poter essere elfo o nano, oltre che umano, dava profondità ai vari dialoghi che si avevano con gli npc (reagivano infatti diversamente in base alla tua razza) qui resta solo la differenza fra l'essere un mago oppure no.
La scelta ovviamente è stata dettata dalla necessità di uscire presto sul mercato.

Da segnalare che il gioco, nel suo substrato, prende a piene mani dal modello di Mass Effect.
La ricetta è: personaggio unico (Shepard) configurabile nell'aspetto e nella carriera, scelte morali di alto profilo effettuate durante i dialoghi con menù radiali. Tutte scelte per rendere il gioco più godibile su consoles (il fatto che Dragon Age Origins fosse più PC oriented fece storcere il naso a molti gamers su PS3 e XBOX360).

Fin qui non ci sarebbe nulla di male; il mondo dei videogiochi è pur sempre un business e cercare di allargare il parco vendite è giusto e doveroso. Uno sviluppo frettoloso purtroppo ha portato a degli errori concettuali.
Tentando di inseguire Mass Effect e il suo successo planetario, gli sviluppatori devono aver pensato che una deriva più action avrebbe pescato fra le fila dei giocatori meno avvezzi al GDR statistico incrementando così la platea di Dragon Age. L'unico risultato ottenuto è stata la rivolta dei fan che dai combattimenti studiati e ragionati di Dragon Age Origins  si sono ritrovati a combattere in enormi risse piene di effetti speciali e nemici dall’IA approssimativa. Solo gli scontri con i rari Boss di fine capitolo, e l'unico drago presente nel gioco, sono vagamente ispirati.

Il lato peggiore, a mio giudizio, è la quasi totale mancanza di locations. Rispetto a Dragon Age Origins, la mappa di gioco è davvero esigua e affronterete molte quest sempre in luoghi dove ne avrete già concluse altre. Talvolta, per "ingannare" il giocatore, la mappa di una location viene "ribaltata" (nella quest A entro dall'ingresso, nella quest B dall'uscita). Ovviamente per creare gli ambienti necessari a supportare il numero di quest ci sarebbe voluto molto più tempo, ma EA ha avuto fretta.

Sfortunatamente molti utenti non credono più al prodotto per come è diventato e le sue 2 espansioni non vendono quanto il gioco base (del quale le vendite sono comunque buone perché l'hype derivato da Dragon Age Origins ha certamente avuto il suo peso) e questo è un peccato, perché una di queste espansioni è in realtà uno di quei plot secondari che farà da incipit per il suo seguito Dragon Age Inquisition.

Come sopra vi lascio il link per Dragon Age 2 dove potete vedere chiaramente il diverso impatto che questo titolo ha avuto sull'utenza a differenza del suo predecessore.


Arriviamo al nocciolo della questione.
Dragon Age Inquisition arriva a fine 2014, dopo uno sviluppo lungo e tanta voglia di riscatto.

Il pubblico dei puristi del GDR e i fan Bioware di vecchia data si dividono equamente fra entusiasti (fanboy senza spirito critico che mai oserebbero criticare mamma Bioware), disillusi ("Dopo Dragon Age 2 e il finale di Mass Effect 3 chissà che schifezza ci rifilano stavolta."), haters (“Esiste solo CDproject e Witcher è il miglior gioco mai creato al mondo.”, e su questo bisognerebbe fare un discorsino a parte sul fortunatissimo primo Witcher, che senza un'ambientazione e un personaggio creato da un grande scrittore, e non da CDProject, probabilmente sarebbe caduto nel dimenticatoio) e possibilisti (“Se a Bioware fai fare le cose con calma può darsi che…”).

Stavolta i possibilisti hanno avuto ragione, vediamo perchè:

Gli eventi di Dragon Age Inquisition partono dal Conclave, un importantissimo incontro che si svolge al tempio delle Sacre Ceneri presieduto dalla Santa Madre Justinia V, figura del tutto simile al Papa come ruolo, nel tentativo di riappacificare Templari e Maghi in guerra civile sin dalla caduta del circolo dei maghi di Kirkwall (finale di Dragon Age 2). 

Una gigantesca esplosione però spazza via tutto il Conclave, lasciando un solo superstite... noi.

Il protagonista torna ad essere un personaggio dallo scarso background, quindi interamente plasmabile (razza, sesso e classe). Viene quindi abbandonata la deviazione, ispirata da Mass Effect, di un personaggio ben caratterizzato e poco personalizzabile. Così, come in Dragon Age Origins, la scelta della razza e della classe si rifletterà nel mondo di gioco con opzioni di dialogo e interazioni con gli npc profondamente differenti.
Resta invece inalterata la struttura radiale dei dialoghi, ormai marchio di fabbrica delle produzioni Bioware.


Sin dalle prime battute risulta chiaro che il lavoro visuale pensato da Bioware deve segnare il passo. I dialoghi con i vostri compagni sono cinematografici e non sono semplicemente un rimpallo di inquadrature fra le faccione dei conversatori. Sono delle vere e proprie riprese come potreste trovarle in un film di buon livello. Graficamente parlando, nessun GDR ha mai raggiunto una qualità simile, se non Skyrim dopo qualche centinaio di mod fatte dai fan.


La bellezza di certi scorci è mozzafiato e il copioso uso di effetti rendono terra, acqua, ghiaccio e fuoco letteralmente da oscar. La vastità degli ambienti fa impallidire tutti i precedenti capitoli e girare le Hinterlands, la prima grande zona che visiterete, occuperà una buona ventina di ore se giocata con la giusta calma. Non è ancora un vero open world come Skyrim ma ci siamo quasi, tant'è che non appena avrete un cavallo vi sentirete sollevati di non dover più fare i chilometri a piedi.

Il motore che muove il tutto è il Frostbite Engine 3 (per i curiosi è il motore di Battlefield 4), un cavallo di razza che talvolta si imbizzarrisce perché, ahimé, nacque per dei giochi FPS dove non sono presenti npc. Sovente capita quindi che i vostri compagni fatichino a seguirvi lungo sentieri tortuosi o a raggiungere determinati luoghi che gli avete indicato. Fortunatamente non accade spesso, ma è comunque fastidioso.

Il comparto sonoro è al solito livello Bioware con un doppiaggio inglese eccelso e ispirato.

Ma come si sarà evoluto il gameplay?
Partiamo dicendo che il combattimento come era stato visto nel primo capitolo della saga non è più nelle corde di Bioware. Fortunatamente, anche lo stile rissaiolo di Dragon Age 2 è stato abbandonato.
Siamo di fronte ad un GDR action dalle meccaniche piuttosto semplificate: se in Dragon Age Origins potevamo avere un personaggio con una barra delle abilità di 20 o più scelte, qui al massimo possiamo averne a disposizione 8 (le abilità ottenibili sono molte di più, ma in barra potremmo averne solo 8 per volta). Scelta dettata dal fatto che su un joypad è difficile gestire un numero troppo elevato di abilità senza mettere il gioco in pausa continuamente. Inevitabilmente gli scontri si semplificano ed i puristi del GDR potrebbero sbuffare, ma i passi in avanti rispetto a Dragon Age 2 sono evidenti. La modalità tattica dove mettere in pausa il combattimento per poi dare ordini ai singoli membri del party c'è e funziona, anche se a mio avviso sarebbe opportuno patchare la telecamera per permettere uno zoom più ampio. 

I combattimenti con le creature che popolano il Thedas sono piuttosto avvincenti e in molti casi vanno affrontati con pianificazione (sopratutto a livelli di difficoltà più elevati), questo perché a differenza degli altri titoli, in Dragon Age Inquisition le pozioni sono in numero limitato (partirete con 8 pozioni condivise con tutto il party) e dovrete tornare a un accampamento o trovare una scatola dei rifornimenti per ripristinare le vostre scorte. A dare manforte a questa meccanica è stata eliminata la possibilità di curarsi magicamente, infatti, al contrario di Dragon Age Origins e Dragon Age 2 non esistono più incantesimi di guarigione. Affrontare quindi un nemico di livello troppo alto, e sopratutto all'inizio del gioco può capitare spesso, si risolverà certamente in una sconfitta.


Lo svolgimento del gioco passa attraverso 9 main quests, circa 200 side quests, le quest dei vostri compagni, più altre attività che si svolgono solo al Tavolo da Guerra.

Se vi perderete nelle side quests per sviscerare ogni anfratto del gioco ci starete sopra per anche 180 ore. Occhio però che il gioco non adatta il livello di difficoltà al livello del vostro personaggio.
Ci sono aree che, se visitate prematuramente, riservano solo delle mazzate nelle gengive!
D'altro canto, grazie alle side quest e all'esplorazione, sarete super livellati e le main quest potrebbero risultare troppo semplici. Per cercare di godere appieno delle battaglie campali vi suggerisco di completarle al livello adeguato (al tavolo da guerra, nelle main quest, è segnalato il livello consigliato per affrontarle).

In quanto Inquisitore (è questo il titolo che avrete) sarete al comando di un'organizzazione che vive e cresce secondo il vostro volere. Sarete chiamati ad effettuare diverse scelte morali e militari, nonché a decidere della sorte dei vostri antagonisti in veri e propri processi sommari dove potrete essere accusa, giudice e se lo vorrete persino carnefice. 
Ogni azione porta a conseguenze, e i vostri consiglieri non si faranno sfuggire l'occasione di dire la loro mostrando disappunto o apprezzamento.
I vostri compagni sono tutti personaggi perfettamente caratterizzati ed è un piacere dialogare con loro.



Come sempre è previsto che si possano instaurare delle relazioni amorose, ma alcune sono precluse dalla scelta della razza e del sesso del vostro personaggio. Dorian ad esempio è esclusivamente gay e non accetterà come partner una donna.

Il vero punto forte del gioco, come sempre nella saga, non è il plot principale piuttosto banalotto del tipo: 
Cattivo fa esplodere montagna con sopra buoni, buoni incazzati perché cattivo fatto esplodere montagna, buoni cercano cattivo per fare lui *#ç@. 

Il punto forte è al solito il Thedas, il cosa sia successo realmente secoli prima, che fine hanno fatto gli dei elfici (ammesso che siano esistiti), chi manovra davvero gli eventi del mondo, chi o cosa sia in realtà Flemeth, cosa sia la Città Nera, se esiste davvero il Creatore, il ruolo dei DarkSpawn, ecc... 

Alla fine di ogni capitolo ci viene rivelato un piccolo colpo di scena (talvolta enorme, a dire la verità), un tassello del mosaico del mondo, ben lungi dall'essere completato.
Il tutto sapientemente raccontato dagli sceneggiatori Bioware che, seppur non sempre siano in grado di creare il gameplay definitvo, sono senza dubbio una spanna sopra ad altri scrittori fantasy che la critica osanna. 

Se il mondo di Dragon Age fosse una serie TV, sarebbe senza dubbio lo Star Trek del fantasy.

Purtroppo però i difetti non mancano, e come potrebbero?
I bug nella prima versione erano una moltitudine, per fortuna esiste già una prima patch che ne risolve parecchi. A livello tecnico il gioco è piuttosto esoso e, sopratutto nelle cutscene, il framerate soffre. Gli scontri con i draghi sono belli, ma anche troppo lunghi, tanto che un giocatore non troppo paziente potrebbe evitarli, non essendo obbligatori. E' un peccato dato che, come in tutti i Dragon Age, sono gli scontri più impegnativi del gioco. Le classi, a mio giudizio, non sono particolarmente bilanciate: il mago knight-enchanter può affrontare un drago da solo al contrario di un guerriero con arma a due mani, ma anche a questo si potrebbe rimediare con una patch futura bilanciando meglio le classi.

Il difetto più grave è l'enormità di compitini insulsi che il gioco ci propone.

Raccogli tot di quello e portalo a tizio, ecc... insomma, un massa di questine sullo stile dei MMORPG che servono perlopiù da riempitivo durante i nostri viaggi. La cosa triste è che se le tagliassimo coi forbicioni, eliminando così un 100 ore di gioco, tutto funzionerebbe comunque! Resterebbero un'ottantina di ore come in Dragon Age Origins, ma tutte godibili e accattivanti. Certo, è vero che la maggior parte degli oggetti si trovano completando raccolte di collezionabili e risolvendo gli enigmi degli Astrarium, ma siamo di fronte a un gioco abbastanza permissivo a livello normale. Non viene dato sufficiente impulso al completamento di ogni raccolta; si è consapevoli che il gioco non lo richiede per essere completato.

Il Cattivo... è un coglione ^^’ e senza fare troppo spoiler… ogni volta che appare fa la figura del fesso... sistematicamente.
I primi due capitoli della saga avevano cattivi di ben altro spessore.
Fortunatamente alla fine scoprirete che... no, questo non velo dico proprio : )

Il tavolo da guerra, dal quale potete mandare in missione i vostri compari per tutto il Thedas, è un'aggiunta simpatica (non prenderete mai parte a queste missioni, sono per lo più tutti incarichi politici o di spionaggio) ma lascia il tempo che trova.
Le cavalcature sono tutte belle e tutte uguali nella funzione, trovato il primo cavallo non sentirete la necessità di trovarne altri, peccato ce ne siano una valanga.
Il crafting è bellissimo e variegato, permette di creare gli oggetti più potenti del gioco con i giusti accorgimenti, ma è nebuloso e davvero scomodo da utilizzare.
A differenza dei suoi predecessori, non potete cliccare su un oggetto e vedere il vostro personaggio dirigersi verso il punto indicato per interagirci. Potete farlo solo in modalità tattica, che è comodissima durante i combattimenti, ma scomodissima in modalità esplorativa; altra modifica fatta per migliorare il gameplay degli utenti consoles, ma non si capisce perché su PC non potesse rimanere la solita vecchia interfaccia.
Bioware ha comunque annunciato una seconda patch a breve, che dovrebbe migliorare il gameplay su PC.

Per ultimo, una menzione di disonore va fatta agli abiti "civili" indossati al quartier generale... l'Inquisitore sembra in camicia da notte -.-



Tirando le somme, dal punto di visto narrativo ed emotivo Dragon Age Inquisition è senza dubbio uno dei titoli che più mi ha colpito in questi anni.
Va giocato per la storia, per i suoi personaggi, per i suoi paesaggi, per i suoi misteri.
Ciò che Bioware vuole raccontare non è la storia infantile di un super eroe, come Shepard, che da solo salva il mondo armato del suo carisma e delle sue abilità.

E’ un romanzo corale, dove tanti eroi piccoli crescono facendo da esempio al popolo che troverà in loro la speranza di costruire un mondo migliore di quello che in fondo stavano distruggendo invece di proteggere. 

Un romanzo dove il “cattivo” è chi non ti aspetti. 

E’ anche uno spaccato di una società bigotta troppo presa a categorizzare il diverso e confinarlo, piuttosto che concentrarsi sui veri pericoli che sono lì, in piena vista.

Un mondo che per essere salvato ha bisogno del Custode di Dragon Age Origins, di Hawke, dell’Inquisitore… e chissà di quanti altri ancora.

sabato 10 gennaio 2015

127.0.0.Sirmione - Giorno 1

10 gennaio 0 Comments
E’ a causa delle festività natalizie e del mio compleanno che ci cade preciso nel mezzo come un dito in un occhio, che non sono riuscita a postare prima, pertanto auguro a tutti quanti i miei lettori un buonissimo anno nuovo con un pelino di ritardo. 

Per farmi perdonare vi racconterò dove sono stata e vi darò qualche dritta che vale la pena seguire, se vorrete spendere qualche giorno sulle rive del lago di Garda, nella magnifica Sirmione. Dopo il Natale e il Capodanno, io e consorte ci siamo goduti tre giorni di totale relax fra le bellezze lacustri di questa lingua di terra mezza lombarda e mezza veneta. Immagino che tutti quanti voi conoscerete anche solo di fama la graziosa Sirmione; forse per le famose acque termali o forse per le Grotte di Catullo. 

Sirmione, ovviamente, è molto più di questo. Essendo piccina è facile girarla tutta a piedi in un solo giorno, ma vi assicuro che per gustarla al meglio è bene spenderci almeno un paio di notti. L’ideale sarebbe come abbiamo fatto noi, venerdì, sabato, domenica, per ripartire verso casa il lunedì. Evitate l’alta stagione e, se potete, evitate persino l’automobile: i prezzi di qualsiasi cosa sono molto alti e la coda per entrare in paese è chilometrica. Sirmione ha un pro e un contro, in questo senso: è di una bellezza straordinaria, ma è anche schifosamente turistica.

Ma partiamo dal principio, che ne dite?


Dov’è questo gioiellino tutto italiano? 

Sirmione si trova sulla costa sud del lago di Garda, in fondo a una stretta lingua di terra lunga però 4 chilometri. Arrivando da Sud-Est incontrerete prima Peschiera del Garda, mentre se arrivate da sud-Ovest, passerete per Desenzano. Questo punto è molto importante se deciderete, come vi ho consigliato, di abbandonare a casa l’auto e usare il treno perché a Sirmione non c’è la stazione e dovrete scendere in una delle due cittadine appena nominate. Se, come me, venite da Bologna, le due soluzioni migliori sono:

1 – treno fino a Verona Porta Nuova -poco più di un’oretta- e corriera fino a Sirmione -1 ora-

2 – treno fino a Verona Porta Nuova, cambio treno fino a Peschiera del Garda -15 minuti- e bus fino a Sirmione -15 minuti-

Come spero saprete, il lago di Garda è il più grande lago italiano. Misura 16 chilometri di larghezza (diciamo da Ovest a Est) per ben 52 chilometri di lunghezza (da Sud a Nord) per un totale di circa 370 chilometri quadrati. Arriva alla profondità di quasi 350 metri, quindi è un bacino d’acqua veramente enorme.

Sirmione, questo piccolo paesino da fiaba, si trova sotto la provincia di Brescia e vive sostanzialmente solo di turismo, motivo per cui vi ho sconsigliato di farci un salto in alta stagione. Il suo passato, che eviterò di raccontarvi per non ammorbarvi gli zebedei con una tediosa lezione di storia, risale all’epoca romana, quindi sappiate che le cose da vedere non sono così poche come può sembrare. Chiunque vi dirà “E’ minuscola e si vede tutto in un giorno solo, non vale la pena restare a dormire”, mentirà sapendo di mentire o peggio, crederà di averla visitata davvero, solo perché magari un giorno è andato a farsi un gelato sotto la Rocca Scaligera o un bagno alle terme.

Le possibilità di alloggio sono molteplici, poiché la concentrazione di hotel e B&B in così pochi chilometri quadrati è spaventosamente alta. Potrete dormire “dentro porta”, ovvero nel centro storico di Sirmione, come ho fatto io, oppure lungo la lingua di terra che passa da Colombare e arriva fino alla costa a sud del lago di Garda, esattamente in mezzo fra Desenzano e Peschiera. Il mio consiglio è quello di passare la notte nel cuore di Sirmione, così da non dover per forza utilizzare la macchina. La corriera vi scaricherà proprio fuori le mura del Castello Scaligero, oltrepassate le quali, sarete in pieno centro. Lungo la lingua di terra ci sono abitazioni e hotel, nient’altro, perciò a parte una lunghissima passeggiata, non potrete fare granché. Anche prendere un caffè vi sarà difficile. Per questo vi consiglio di “saltare i preliminari” e andare direttamente al sodo, nel cuore di Sirmione storica.

Come ho detto prima, per l’alloggio c’è l’imbarazzo della scelta che verrà influenzata sicuramente dalla capienza dei vostri portafogli. Personalmente ho scelto una soluzione medio bassa (meno di 50 Euro a testa a notte in alta stagione per letto e colazione). Un tre stelle che però non ha niente da invidiare a hotel più lussuosi. Certo, non avrà il ristorante, le terme interne, la mega TV o il frigobar, ma è in una posizione a dir poco meravigliosa -per me il punto più bello di tutta la penisola-, fa una colazione spaziale con ogni ben di Dio, la coppia di Parma che lo gestisce è di una gentilezza e disponibilità disarmante e le stanze sono calde, profumate -una cosa strana e piacevolissima-, silenziose, confortevoli, pulite in maniera impeccabile e dalle finestre si gode di una vista mozzafiato. L’hotel in questione è il Meublè Grifone e se siete in coppia chiedete la stanza numero 28. Mi ringrazierete. Ecco un assaggio di quel che dico.




Dopo essere arrivati e aver sbrigato le pratiche con l’hotel, vi consiglio di passeggiare per i vicoli del centro e godere di tutta la sua bellezza. Fermatevi nei negozietti, fatevi un gelato e non abbiate paura di infilarvi in pertugi che possono sembrare proprietà privata, perché spessissimo non lo sono affatto. Sono anfratti che magari sboccano sul lago, in un angolino isolato e pittoresco che non vi aspettereste assolutamente. Come questo:


Da ottobre a marzo i battelli che collegano Sirmione alle altre località del Garda non girano, ma se il vostro intento è fare solo un giro in barca per ammirare il profilo della penisola e perdervi nel suo immenso fascino, allora sappiate che immediatamente fuori dalle mura ci sono alcuni simpatici personaggi che per una cifra abbastanza ragionevole vi faranno passare una mezz’ora tra i flutti del lago facendo il giro tutto attorno al paese e spiegandovi anche cosa state guardando. Il mio consiglio? Fatelo… e se c’è, chiedete di Alberto.

Un’informazione che potrebbe risultarvi molto utile è che la prima domenica del mese, le attrazioni turistiche sono gratuite, perciò potrete risparmiare i 13 Euro a capoccia della Rocca Scaligera, i 6 delle Grotte di Catullo e anche entrare liberamente nei musei. E’ un risparmio notevole, fidatevi. Solo Rocca e Grotte, fanno 38 Euro se siete in due.

Se, come noi, arrivate di venerdì, il mio consiglio è quello di gironzolare senza meta per le vie del centro, prendere confidenza con le sue stradine e con la disposizione dei punti d’interesse, farvi un gelato, una birretta o uno spritz magari al Bar Moderno in Piazza Carducci, non tanto per la qualità del posto, che è comunque nella norma, quanto per la sua posizione strategica. Seduti fuori, in orario aperitivo, godrete di un tramonto favoloso che si riflette sulle acque del lago, da una piazzetta a dir poco deliziosa.

Come dite? Dove mangiare e bere?! Come per gli hotel, anche riguardo ai ristoranti, bar, ecc… c’è l’imbarazzo della scelta. Personalmente ho testato 7 localini, tutti nel cuore di Sirmione. Ve li elenco con un breve commento per ciascuno di essi.


Ristorantino piccolino e rinomato (prenotate o andateci molto presto, apre alle 19.00), ma molto affidabile e aperto anche in inverno. Si mangia bene, punto. Prezzi nella norma. Stiamo sui 40 euro a testa se prendete anche vino o birra. Se ho capito bene, il loro cavallo di battaglia è il risotto gamberi e zafferano che però va ordinato per un minimo di due persone. Un difetto? I tavolini troppo vicini. Non c’è molta privacy.


E' in Piazzetta Mosaici. Buonina per un pranzetto veloce o un aperitivo. Noi ci siamo andati a pranzo e abbiamo preso due piatti di spaghetti cacio e pepe. Buoni, non certo eccelsi come quelli che puoi trovare a Roma, ma comunque gustosi. Se potessi dar loro un consiglio, gli direi di usare i tonnarelli e non gli spaghetti. Con due Menabrea siamo stati sui 25 euro in totale. Abbastanza onesti.


Bellissimo ristorante che certamente dà il meglio di sé d’estate, con la sua terrazza sul lago a pochissimi centimetri dall’acqua e voltata verso il tramonto. Deliziosa la saletta più piccola, arredata con gusto e finezza. Personale molto gentile e molto attento. Si mangia ottimamente, spendendo più o meno come alla Fiasca, ma mangiando in un ambiente decisamente molto, ma molto più chic e a lume di candela. Un consiglio? Non avventuratevi in richieste fuori menù o variazioni senza prima chiedere esplicitamente e senza vergogna quanto vi costeranno, potreste avere pessime sorprese al momento di andare in cassa.


Piccola enoteca senza grandi pretese. Noi l’abbiamo testata a pranzo con due birre alla spina e due bruschette piuttosto buone. Ottimi prezzi e gentilezza del personale. Seduti fuori si sta bene perché l’enoteca è in un vicolo molto carino, riparato e con un passaggio di persone non eccessivo. Un paio di tavolini hanno persino dei comodi divanetti. I tavoli esterni sono tutti da due persone.


Bel ristorante, rinomato e di alta qualità. Servizio gentilissimo e simpatico. Si mangia molto bene. Abbiamo prenotato e contestualmente alla prenotazione abbiamo chiesto un tavolino appartato per festeggiare tranquillamente il mio compleanno e il personale si è ricordato la ricorrenza, portandomi, alla fine della cena, il dolce guarnito da una candelina. Piccoli gesti, ma secondo me molto importanti. I prezzi sono leggermente più alti dei due ristoranti già citati, ma se evitate di prendere antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, vino, caffè e e ammazza caffè, uscendo dal locale rotolando, beh… potete spendere il giusto e uscire comunque soddisfatti.


In questo posticino sotto un piccolo portichetto, ci siamo fermati solo per l’ammazza caffè e il giorno dopo per due spritz prima di cena. Prezzi onestissimi e personale gentile molto “alla vecchia”, come si dice qua a Bologna per intendere “alla mano”. E’ un posto dove è facile fare amicizia. Dicono che la pizza sia ottima!


E’ primo locale di cui vi ho parlato, in una piccola piazzetta sul lago, è un ottimo posto dove fare aperitivo gustandosi il tramonto. E’ aperto anche d’inverno e ha le stufe piramidali a fiamma continua sotto il grande dehor. Davvero suggestivo. Se dovessi dar loro un consiglio, gli spiegherei che Bloody Mary non si scriver Blady Mary!

Mi avevano parlato molto bene anche di un altro ristorante di cui non farò il nome; l’abbiamo scartato perché al suo interno – ma si vede anche da fuori, quindi a buon intenditor, poche parole… - c’è una vasca con le aragoste vive e per di più con le chele legate. Cosa completamente contraria all’etica, alla morale e mi auguro, un giorno, anche alla legge.

Per oggi mi fermo qua, ma torneremo a parlare di Sirmione fra qualche giorno!


La casa in pietra alla destra del Castello Scaligero, con quel piccolo balconcino e le due sedie di plastica bianche è il nostro Hotel Grifone e quel delizioso balconcino era la nostra stanza numero 28. 

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